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letteraria, riflessioni su due ruote

Eros. Tra patacche e mariologia

critica letteraria

Beatrice Blasonai recensisce “troppa grazia” di Nicola Sacco, sull’ultimo numero di Nuovi Tegumenti

l’intervento integrale

“Questa prova “erotica” certifica la grande levatura letteraria del Sacco, lo ratifica come Scrittore e lo glorifica come Regale Amante, a laterale conferma di una pregressa esperienza diretta, a causa della quale, la carne della sottoscritta, da buona testimone, ancora freme; ancora s’ingrossa, nel gabbiotto delle costole, il cuore mio. E qui siamo al topos: la fusione tra Arte e Vita. Ma poiché qui non si fanno recensioncelle giornalistiche, bando ai pettegolezzi appetitosi imbanditi dal critico per uccellare il lettore. Si passi alla disamina.

Pare, oggi, non siano in molti a percorrere gli stessi sdrucciolevoli sentieri praticati dal Sacco, e questi quasi da sconsiderato. Ma vediamo subito di quale avvertita sconsideratezza.

Modalità stilnovistiche afferrate e subito, con audacia, rovesciate, in quello che si potrebbe considerare un primo livello dissacratorio. La donna, angelicata fino a vederla come riflesso del “divino”, viene ad essere finanche contrariata. Ecco quel che accade, in queste pagine dense di secondi e terzi significati: Sacco assume il divino, o meglio, una sua (del divino) icona, per umanizzarlo/a, per farne il riflesso della Femmina. Impresa prometeica, come si vedrà, perché la madonna non è e non può essere Gesù, perché è donna che concepisce la sua carnalità come terreno di conquista per pochi eletti, dunque non può intendere la stessa carnalità, al par del Cristo, come dono all’umanità. Non è un caso, forse, che per queste ragioni (riducibili, al finale, alla diversità di genere) essa sia avulsa dal principio trinitario. E non è un caso che, come anche in questo racconto dal prepotentissimo sottotesto, gli eletti siano talmente pochi da esser rari, anzi da non esistere tout court. E non esistendo salvaguardano la natura “immacolata” di questa entità.

Le implicazioni filosofico-religiose testé svolte, derivano tuttavia da quella operazione principale, che è l’unica veramente erotica, che si sia compiuta nell’ultimo ventennio delle lettere italiane.

Molto diversamente dal film Paradise: faith, che pure si è citato a proposito di affinità con troppa grazia, non di ossessione religiosa si tratta ma di lenta scoperta dell’amore, e dell’amore, di un amore divino, in tutti i sensi, quindi anche nel senso religioso, quindi, da ultimo, della scoperta della fede come amore verso il suo Dio. La via a tutto questo, quel sentiero scabroso e periglioso cui si accennava, è certo inusuale e provocatoria, tuttavia a nessuno è dato di escluderla.

L’amore per la madonna nasce e si sviluppa in forza di un rapporto che di tutto si alimenta tranne che di dogmi, imposizioni, paranoie o sensi di colpa. In altri termini, gli strumenti tipici con cui la Chiesa cerca di affermare il proprio potere “nel secolo”, da questa narrativa sono messi al bando per far posto a credibili dimostrazioni di come il “sentire il sacro” sia il frutto di un’acquisizione progressiva, ovvero per manifestazione di caratteri, personalità e carismi, per naturale magnetismo, per irradiazione di “spirito”, pur essendo qui, la Madonna, un personaggio che si arricchisce di caratteri, man mano che il racconto procede, per attribuzione unilaterale di Angelo, nel suo crescendo di farneticazione, di delirio da “solitudine” e da “fatica”.”

Un racconto che ben ci informa dei recenti movimenti di pensiero del Sacco, dell’evoluzione del suo orientamento filosofico: “il partito preso” scacciato come un anofele, le verità precostituite come una malaria; accettare, piuttosto, che vi siano delle distanze da coprire, dure salite lungo le quali arrampicarsi, in cima alle quali il nostro Angelo immagina di trovare “il premio”. In definitiva, e un po’ banalmente, delle mete da raggiungere che sono magari intuite, mai pre-conosciute e a ben vedere, neanche mai conosciute del tutto.

C’è il processo amoroso, il motivo stilnovistico della “madonna dir vo’ voglio”, dell’assolutizzazione della donna, epperò esso appare, nella struttura del racconto, come ribaltato, o meglio ancora, come giuocato continuamente di specchi. Di tal che si confonde una donna angelicata fino al punto di farne riflesso del Divino con il Divino (una sua icona) assunto per poter essere sottoposto ad una umanizzazione che ha del prometeico (si vedrà), assunto cioè per ottenere dal Divino il distillato della Femmina.

Al di là delle implicazioni filosofico-religiose, ci pare, comunque, questa impresa, l’unica veramente erotica, e dunque esemplare unico di letteratura erotica, almeno nell’ultimo ventennio. Ad onta delle top-ten intasate da tutte le sfumature dei colori “a spirito”, erotismo balbettato dal ceto medio riflessivo, e delle astute quanto superflue (sempre in termini di reddito letterario, non certo di quel reddito più gratificante e mai abbastanza superfluo che è l’editoriale) cum-short(laddove il curatore vende per “erotico” tutta una paccottiglia che farà indrizzare l’uccello una volta, irrorare una passera un’altra mezza volta, dopodiché sarà tutto finito, manco che una sveltina; quando invece si dovrebbe rivolgere la massima attenzione, affinché la libido possa dispiegarsi, a un’esperienza caratterizzata dal massimo stress sensoriale, ovvero al soggetto che faccia del suo universo mentale il Tutto di cui l’eros abbisogna; allora sì, ne conseguirebbe il benefico e letterario effetto di una scrittura che non si esaurisce in una sola lettura; allora sì, potremmo tranquillamente escludere di essere in presenza di erotismo-patacca), Sacco mette in scena l’eterno “chiodo” che trapassa le sante carni di sempre, l’imperitura punta che, dall’origine della vita, tortura la santa carne della Storia. Un amore che, attraversando i molteplici stati della Materia, La riduce ad unità: dai “lombi in sudore” ai garretti, dalle bramate cosce alle gambe fattesi di marmo, e da questo al bronzo di una statua, dal prosaico metallo alla sua valenza ultraterrena. Un amore che, come fuoco che brucia ma non consuma, si autoalimenta di insoddisfazione, insoddisfazione per la finitezza dell’uomo; eros come eterno memento di imperfezione e limite e, al contempo, come assalto incessante alla barriera, sconfinamento, degenerazione e tracimazione nel “metafisico”. La scoperta, inevitabile, è quella dell’affratellamento conthanatos. Come inestricabilmente è sempre stato.

“Lo non-poter mi turba, / com’on che pinge e sturba”.

È il vedere soggettivamente, vale a dire l’avere “visioni” di quel viso e di quel corpo, che conduce all’estasi erotica. E nella misura in cui l’estasi è contemplazione del volto di Dio, essa è anche Morte in quanto passaggio obbligato (il morire) per poter essere ammessi al cospetto di Dio.

Beatrice Blasonai

Nuovi Tegumenti, n. 69, Dicembre 2012

letteraria, riflessioni su due ruote

La Recensione della Blasonai /2

Seconda parte del magnifico lavoro svolto dalla Blasonai attorno al mio racconto troppa grazia”

Un racconto che ben ci informa dei recenti movimenti di pensiero del Sacco, dell’evoluzione del suo orientamento filosofico: “il partito preso” scacciato come un anofele, le verità precostituite come una malaria; accettare, piuttosto, che vi siano delle distanze da coprire, dure salite lungo le quali arrampicarsi, in cima alle quali il nostro Angelo immagina di trovare “il premio”. In definitiva, e un po’ banalmente, delle mete da raggiungere che sono magari intuite, mai pre-conosciute e a ben vedere, neanche mai conosciute del tutto.

C’è il processo amoroso, il motivo stilnovistico della “madonna dir vo’ voglio”, dell’assolutizzazione della donna, epperò esso appare, nella struttura del racconto, come ribaltato, o meglio ancora, come giuocato continuamente di specchi. Di tal che si confonde una donna angelicata fino al punto di farne riflesso del Divino con il Divino (una sua icona) assunto per poter essere sottoposto ad una umanizzazione che ha del prometeico (si vedrà), assunto cioè per ottenere dal Divino il distillato della Femmina.

Al di là delle implicazioni filosofico-religiose, ci pare, comunque, questa impresa, l’unica veramente erotica, e dunque esemplare unico di letteratura erotica, almeno nell’ultimo ventennio. Ad onta delle top-ten intasate da tutte le sfumature dei colori “a spirito”, erotismo balbettato dal ceto medio riflessivo, e delle astute quanto superflue (sempre in termini di reddito letterario, non certo di quel reddito più gratificante e mai abbastanza superfluo che è l’editoriale) cum-short (laddove il curatore vende per “erotico” tutta una paccottiglia che farà indrizzare l’uccello una volta, irrorare una passera un’altra mezza volta, dopodiché sarà tutto finito, manco che una sveltina; quando invece si dovrebbe rivolgere la massima attenzione, affinché la libido possa dispiegarsi, a un’esperienza caratterizzata dal massimo stress sensoriale, ovvero al soggetto che faccia del suo universo mentale il Tutto di cui l’eros abbisogna; allora sì, ne conseguirebbe il benefico e letterario effetto di una scrittura che non si esaurisce in una sola lettura; allora sì, potremmo tranquillamente escludere di essere in presenza di erotismo-patacca), Sacco mette in scena l’eterno “chiodo” che trapassa le sante carni di sempre, l’imperitura punta che, dall’origine della vita, tortura la santa carne della Storia. Un amore che, attraversando i molteplici stati della Materia, La riduce ad unità: dai “lombi in sudore” ai garretti, dalle bramate cosce alle gambe fattesi di marmo, e da questo al bronzo di una statua, dal prosaico metallo alla sua valenza ultraterrena. Un amore che, come fuoco che brucia ma non consuma, si autoalimenta di insoddisfazione, insoddisfazione per la finitezza dell’uomo; eros come eterno memento di imperfezione e limite e, al contempo, come assalto incessante alla barriera, sconfinamento, degenerazione e tracimazione nel “metafisico”. La scoperta, inevitabile, è quella dell’affratellamento con thanatos. Come inestricabilmente è sempre stato.

“Lo non-poter mi turba, / com’on che pinge e sturba”.

È il vedere soggettivamente, vale a dire l’avere “visioni” di quel viso e di quel corpo, che conduce all’estasi erotica. E nella misura in cui l’estasi è contemplazione del volto di Dio, essa è anche Morte in quanto passaggio obbligato (il morire) per poter essere ammessi al cospetto di Dio.

Beatrice Blasonai

Nuovi Tegumenti, n. 69, Dicembre 2012

letteraria, riflessioni su due ruote

La Recensione della Blasonai /1

Al finale, la pallida sovrana delle Lettere degnossi inviarmi le sue preziose notazioni critiche attorno a troppa grazia, peraltro fresche fresche di pubblicazione sull’ultimo numero di Nuovi Tegumenti:

“Questa prova “erotica” certifica la grande levatura letteraria del Sacco, lo ratifica come Scrittore e lo glorifica come Regale Amante, a laterale conferma di una pregressa esperienza diretta, a causa della quale, la carne della sottoscritta, da buona testimone, ancora freme; ancora s’ingrossa, nel gabbiotto delle costole, il cuore mio. E qui siamo al topos: la fusione tra Arte e Vita. Ma poiché qui non si fanno recensioncelle giornalistiche, bando ai pettegolezzi appetitosi imbanditi dal critico per uccellare il lettore. Si passi alla disamina.

Pare, oggi, non siano in molti a percorrere gli stessi sdrucciolevoli sentieri praticati dal Sacco, e questi quasi da sconsiderato. Ma vediamo subito di quale avvertita sconsideratezza.

Modalità stilnovistiche afferrate e subito, con audacia, rovesciate, in quello che si potrebbe considerare un primo livello dissacratorio. La donna, angelicata fino a vederla come riflesso del “divino”, viene ad essere finanche contrariata. Ecco quel che accade, in queste pagine dense di secondi e terzi significati: Sacco assume il divino, o meglio, una sua (del divino) icona, per umanizzarlo/a, per farne il riflesso della Femmina. Impresa prometeica, come si vedrà, perché la madonna non è e non può essere Gesù, perché è donna che concepisce la sua carnalità come terreno di conquista per pochi eletti, dunque non può intendere la stessa carnalità, al par del Cristo, come dono all’umanità. Non è un caso, forse, che per queste ragioni (riducibili, al finale, alla diversità di genere) essa sia avulsa dal principio trinitario. E non è un caso che, come anche in questo racconto dal prepotentissimo sottotesto, gli eletti siano talmente pochi da esser rari, anzi da non esistere tout court. E non esistendo salvaguardano la natura “immacolata” di questa entità.

Le implicazioni filosofico-religiose testé svolte, derivano tuttavia da quella operazione principale, che è l’unica veramente erotica, che si sia compiuta nell’ultimo ventennio delle lettere italiane.

Molto diversamente dal film Paradise: faith, che pure si è citato a proposito di affinità con troppa grazia, non di ossessione religiosa si tratta ma di lenta scoperta dell’amore, e dell’amore, di un amore divino, in tutti i sensi, quindi anche nel senso religioso, quindi, da ultimo, della scoperta della fede come amore verso il suo Dio. La via a tutto questo, quel sentiero scabroso e periglioso cui si accennava, è certo inusuale e provocatoria, tuttavia a nessuno è dato di escluderla.

L’amore per la madonna nasce e si sviluppa in forza di un rapporto che di tutto si alimenta tranne che di dogmi, imposizioni, paranoie o sensi di colpa. In altri termini, gli strumenti tipici con cui la Chiesa cerca di affermare il proprio potere “nel secolo”, da questa narrativa sono messi al bando per far posto a credibili dimostrazioni di come il “sentire il sacro” sia il frutto di un’acquisizione progressiva, ovvero per manifestazione di caratteri, personalità e carismi, per naturale magnetismo, per irradiazione di “spirito”, pur essendo qui, la Madonna, un personaggio che si arricchisce di caratteri, man mano che il racconto procede, per attribuzione unilaterale di Angelo, nel suo crescendo di farneticazione, di delirio da “solitudine” e da “fatica”.”

(continua)

Beatrice Blasonai

Nuovi Tegumenti, n. 69, Dicembre 2012

funghi patogeni, riflessioni su due ruote

troppa grazia /14

L'Histoire Érotique


I più deformi e bavosi furono anche i più barbari. I pellegrini lo uccisero di botte.

(FINE)

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funghi patogeni, riflessioni su due ruote

troppa grazia /13

L'Histoire Érotique
“Ieri ti ho vista in tv. Eri bellissima. Non ho visto tutta la puntata per i troppi servizi a cui non ero interessato e la pubblicità, quindi per stanchezza a un certo punto sono andato a dormire. Però tu eri uno schianto.”


Dove sta confluendo quell’onda di struggente dolcezza che parte da te e ovunque io sia mi viene a cercare?
“Vista in tv generavi desiderio selvaggio. Oggi sono qui che vorrei prenderti e massacrarti di carezze. Se fossi un dio avrei un pretesto per accompagnarmi a te, ti porterei in una stanza coi parati arabescati bronzo-oro e io stesso mi sarei velluto che più a più ti avvolge e soffoca. E attraversata che avessimo tutta la giornata, dal suo tonfo notturno fino al primo mattino, ti farei ridire, ti sentirei ripetere «là era dio».”
Sono qui col desiderio che ad onta del fracco di legnate prese, del petto che duole ancora da urlare ad ogni respiro, cresce a dismisura, visita regioni della mente inesplorate, mai violate fino d’ora, il desiderio fatto sacra liturgia dell’attesa, finché mi offrirò come vittima sacrificale e non sarò più io bronzo, ma una sorta di autostrada fra noi e Dio.
“Mia sovrana, adesso però mi ci vuole la verità dei corpi inguainati. Adesso sento il bisogno del sesso sconcio. Mi urge che mi mordicchi mentre io mi muto in piantina officinale per i tuoi acciacchi.”
Leccami. Sono senza mutande.

(continua)

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funghi patogeni, riflessioni su due ruote

troppa grazia /12

L'Histoire Érotique
Io non so dire né immaginare cosa possa accadere. Magari non succede proprio un bel niente. Tu puoi tirarti qualche piacevolissima sega, io posso restare prigioniera del bronzo in cui vivo sospesa, con il viso cereo, gli occhi sbarrati, dove ho perfezionato fino allo stremo la liturgia dell’attesa e il raffinamento estetico e ontologico del desiderio.
“Seghe celestiali. Io però come una lesbica ti farei aderire al mio palato. Come un’ostia.”
Racconta meglio delle celestiali seghe. Effonditi sulle seghe. Io sono una bianca cattedrale che non si può sporcare. Sono un tempio di beatitudini. Le mie labbra sono wafer appena sfornati. Sono una vecchissima e sapiente vergine. Nessuno può violarmi. Nessuno mi ha mai avuta. Mai. Io so prevedere il futuro. So tutto, Angelo dei miei lombi. Ho già visto quello che farai. So bene cosa ti canterà nel cuore e cosa ti strazierà. So quando e come tirerai il fiato. Lo posso decidere soltanto io. Non mi farò incantare dal lucore degli occhi tuoi e da quello che dici e da quello che non mi hai detto. Ma io ho già capito.
“Davvero vedi il mio futuro? Questo è un modo come un altro per disporre di me. Se puoi decidere soltanto tu, ti prego di non essere cattiva con me, col mio fiato. Ma so che non lo sei. E via, vuoi che ti parli delle mie celestiali seghe …”
Subito!
“Ti rinsacco nel mio amore.”
Il desiderio come lievito metafisico tutta mi pervade. È uno struggimento indicibile. È come un’estasi che si fa di colpo agonia. Allora tutto mi duole e tutto mi tormenta e il desiderio mi comanda di essere folle, e più ti desidero e più mi manchi e più mi manchi e più godo del mancamento anche se è uno strazio, è uno strazio indicibile perché mai provato prima d’oggi, sto con gli occhi sbarrati e vitrei e guardo senza vederlo il cielo, tu sei l’astro nei mio lombi. Sei creatura arcana e inaccessibile ma a me intimamente familiare. Cosicché da lontano e per difetto io ti sento. E sentirti mi fa liquefare, come la transustanziazione. Voglio solo te. Ma non voglio prenderti io. Voglio essere presa. Perché se ti avessi voluto prendere l’avrei già fatto. Ma non voglio farlo. Devi essere tu a prendere me. Che non mi sono mai fatta prendere. E adesso ho paura. E non so se vinca in me la paura o il desiderio. E non so cosa mi abbia preso ma qualunque cosa sia non ci rinuncerò. Da te, dai tuoi silenzi che dicono ben più eloquentemente quanto non mi avresti mai detto, scaturisce una liscia, oscura ondata di dolorosa dolcezza che, ovunque sia, mi viene a cercare perché sperimenti quel genere di piacere cha fa già svenire solo a pensarlo.

(continua)

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funghi patogeni, riflessioni su due ruote

troppa grazia /11

L'Histoire Érotique
Vorrei capire perché non ascendi. Fai l’offeso? Dobbiamo parlare prima di un giorno.
“Niente affatto offeso.”
Sorridimi.
“Ho pensato ai tuoi orrori patiti, alle tue cicatrici. Questa curiosità mi ha indotto a immaginare di spogliarti. Non sono stato in grado di ragionare e non le ho trovate. Scusami se ho approfittato per palparti.”
Adesso puoi anche innamorarti di me se ti va. Ma devi proteggermi. Devi alzare una barriera con le preghiere, puoi farlo, tu sapresti come. Hai dei lombi magici. Prometti che mi proteggerai da tutti i postulanti, dalle grinfie delle lesbiche, prometti prometti prometti. Sorridimi anche se non mi vedi.

(continua)

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funghi patogeni, riflessioni su due ruote

troppa grazia /10

L'Histoire Érotique
Miei infiniti lombi in sudore, dove sei finito? Mentre tutti mi rincorrono e mi invocano tu vai a correre cronometro pianeggianti. Ti devi appalesare. E invece di salire a me mi imponi la tetra liturgia dell’attesa. Perché prima o poi ci scambieremo i simboli della nostra carità terrena …
“Oh, mia sovrana. Insegnami le gioie del cardinalesimo, dell’incardinamento e dello scardinamento.”
Ci sarebbe allora il soprassotto … il cominciamento grande. Oh, Angelo! Dove mi stai portando? Ovvero, dove mi stai seguendo? Io sono deserto luogo di splendore, troppo fragile per essere sporcata dalle ingiurie del Tempo. Miei infiniti lombi, dove sei? Cosa pensi quando pensi a me? Cosa vedi? Cosa riesci a dire?
“Penso di essere un’ondulazione nell’inguine del Tempo. Lungo la curva di quell’inguine scorre in rivolo di sudore che talora si dislaga e quindi vado a bagnarmici i piedi. Se dal pelo del lago sporge un masso allora mi ci siedo. E ti penso.”
Verrai con me a vagabondare nella campagna di notte a primavera quando è tutto verde e la natura risvegliata esplode in una minaccia di viluppi?
“Verrò da te.”
Devi leggermi nelle preghiere che ti insegno. Potrai sentirmi. Sono tutta lì dentro. Poi non so se ti piacerò un po’ o se ti piacerò che non si può fare senza … Sono mezza cieca e avevo questi occhi belli belli che quelli che mi guardano ci vedono dentro come un film, come il diorama e rimangono incantati e io certi momenti sono un santa, e quelli che guardano si inginocchiano e chiedono perdono, in altri una stregaccia … ho le gambe nude e sono scalza … Sono scappata via e sono sola. Ma tu fa d’esistere.
“Magnifica e sontuosa rosellina, non sei sola. Attraverso le preghiere che m’insegni ti posseggo. Mia sovrana, sono in balìa dei tuoi inferi. Sono nelle tue viscere e agli occhi ho lacrime grosse come zibibbi.”
Pretendo ancora tue ascese e riscontro e giudizio e amore. Sono emozionata, devo calmarmi. Non riesco a intercedere.
“Non ce la faccio a salire. Ho le gambe di marmo.”

(continua)

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funghi patogeni, riflessioni su due ruote

troppa grazia /9

L'Histoire Érotique
Sono andata a dormire, ho fatto un sogno di carne poi mi sono svegliata e adesso non posso più dormire.

“E per colpa mia? Non idealizzarmi troppo, per me conta molto la bici ma nel resto della carne sono al di sotto delle attese. Per non dire una grossa delusione. Ma forse sto facendo il deficiente, perdonami.”
Sì, stai facendo il deficiente. Avevo visto nei tuoi garretti delle cose inattese, straordinarie, eri riuscito nella tua sofferenza di scalatore a scolpire frasi d’amore. Potevo leggerle, io, di quelle che una donna passa una vita intera senza mai sentirsele dire. Neanche mi pareva vero, sembrava di colloquiare con l’anima di un poeta. E poi? Neanche passa un giorno che mi ritrovo di fronte uno che boccheggia quattro scuse. E non venirmi a parlare di idealizzazioni e altre minchiate. Volevi interagire con la madonna? Bene la madonna è anche questa donna abbastanza risentita perché tu ti spaventi di me. Se non riposo, certo non dipende da te. Certo non può dipendere da te, sia chiaro. Allora tu mi rispondi come un deficiente. Ma qui non si tratta di farmi un dispetto se tu scali la montagna o desisti, quello che posso fare per te è sentire se ci sei come uomo o meno ma, se questo talento tu non hai, ti metterei al tuo giusto posto argomentando con solide basi, sulla roccia e non sull’argilla. Quello che fa una vera e buona madonna è indirizzare dolcemente, guidare il talentuoso verso la completa realizzazione della sua preghiera; lo aiuta sminare il terreno, a confrontarsi con i suoi fantasmi, a fare un viaggio dentro se stesso. Io che sono una poveretta ancorché primitiva, rozza e magmatica il passo della madonna ce l’ho, innato, ed è una dannazione. E se non l’avessi avuto magari mi sarei offesa, magari avrei fatto dell’altro e invece no. Può darsi che tu sia un atleta eccellente e non un uomo; o può darsi che tu sia un grande uomo, ma chiunque tu sia adesso il tuo talento va guidato, nutrito, sorretto. Può darsi pure che tu pedali solo per evadere da un mondo del cazzo che ti tiene prigioniero, ma se è così non sei un uomo vero. Gli uomini veri sono dei dannati! Lo capisci?
“Ma la mia era solo professione di modestia. Io credo di essere davvero deludente come uomo. Ti ho parlato così perché c’è anche chi, vicino a me, pensa davvero che io sia una persona deludente, non certo perché mi spaventi di te. E poi, via, da quel poco che ho capito di te, sei una che spaventa. E io l’ho capito, che non debbo spaventarmi.”
C’è un momento, quando sei lì a morire in bici, in cui hai un’espressione di grande dolcezza, che viene voglia di farti una carezza, di farti da madre. Ci sono altri momenti, più cattivi, in cui la smorfia di fatica sul tuo volto ti fa sembrare un internato in un reclusorio minorile. Sembri due persone diverse, forse sei l’una e l’altra e io non ci capisco più niente. Non capisco più cosa ci stiamo dicendo e perché ci parliamo; io sono incuriosita da te, sono ammirata dalla tua tenacia … Certo che faccio paura. A tratti susciti in me il desiderio di farti un po’ male, come si farebbe con un animaletto indifeso, come certi mostri fanno … Non capisco più se è solo una mera questione ontologica di scopate. E poi ti ho trovato un meraviglioso patronimico: infiniti lombi in sudore e in loro un’ave maria. Commenta.
“Anche quello avevo capito, il desiderio di farmi un po’ male. E ti chiedo: non dovrei spaventarmi?”
Lo puoi intuire, cazzo? A me mi hanno corteggiato di buone e meno buone preghiere per centinaia d’anni …. Hai capito?!? E non sparire!
“E non sparisco. Andiamo avanti con la tenzone, allora. Marrana!”
No, sei un ragazzetto che non sa quel che dice, che si crede che basta scalare tre o quattro volte la rupe per arrivare al cuore di un simulacro di bronzo, per scoprire il mio segreto. Che stolto che fosti! Ti abbandono lì dove non ti ho mai trovato.
“Non ho mai creduto che bastassero tre o quattro salite. Mai! Tu sei una donna crudele che mi tratta come un ragazzetto deficiente e servo. Ma io spero ancora di conoscerti, di conoscere la tua incarnazione.”
Tu mi devi adorare.
Il Beato Angelico ebbe un incubo. Risvegliandosi tutto sudato prese a disegnarmi. Mi mise addosso vestiti di mago e mi fece chinare e mi colorò il mantello. Ma i suoi spasmi notturni non cessarono e nella mia postura si impresse in guizzo di agitazione, un trasecolare. Ero venuto per adorare la creatura ma la vista della vergine rosa mi fece barcollare.”

(continua)

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funghi patogeni, riflessioni su due ruote

troppa grazia /8

L'Histoire Érotique
Ma insomma, devi manifestarti! Dove sei finito? Non tollero, oh no!, non tollero, non più a lungo potrò tollerare il tuo silenzio! Porta qui il cazzo della tua figura intera! Voglio vederti, sbrigati! Sono stanca, patita, tormentata dai teleobiettivi, ho bisogno di riposare.

(continua)

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