Archivi per il mese di Aprile, 2010

le torsioni dell'anaconda

Nudi re e sudditi

L’anaconda perché mi pareva ben potesse significare “scandalosa bestia”, e mi serviva un’immagine per lo scandalo di cui volevo parlare. Mi tocca precisare: scandaloso non il rettile in sé ma la simbologia fallica che i serpenti incarnano nell’immaginario collettivo. Mi dovevo servire, su un piano simbolico, del livello di scandalo che può essere raggiunto e provocato nella percezione comune dall’ostentazione e dall’ostensione in piena luce di un fallo dalle dimensioni “grandiose” (un anaconda appunto) per richiamare l’attenzione su quanto davvero e unicamente merita la qualifica di “moralmente scandaloso”: la violazione dell’intimità operata da una determinata struttura sociale (hegelianamente uno stato, pasolinianamente un potere). Ho cercato quindi di raccontare - articolando sul doppio motivo della reclusione/occultamento del “brutto” e del decoro nelle sepolture dei morti - il conflitto storico, eterno e immanente, tra valori sociali (più o meno legittimi e condivisibili) esteriori, da un lato; e dall’altro le ragioni intime (allo stesso modo più o meno legittime e condivisibili) profonde, notturne e irrazionali come le potenze buie, di chi teme più di ogni altra cosa l’esposizione “agli occhi di tutti” delle proprie miserie e vergogne o anche, puramente e semplicemente, della propria intimità. Se, in definitiva, mi ritrovo a raccontare la mia società, questo accade non per programma concepito a tavolino ma per una sorta di emersione ineluttabile della società stessa, manifestazione la cui prepotenza è tutta nelle spinte ascensionali prodottesi con l’adozione di quella precisa chiave.

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sisifeide n. 2

affermo pasolinianamente, cioè, che la lingua mondadoriana (mi riferisco alla narrativa e agli autori italiani della scuderia mondadori), nella sua veste di facile parlabilità, nella sua essenza di fluente semplicità che del dire non conosce inciampi né rattrappi né sbalzi, è perciò la lingua della “cultura ufficiale”, la quale cultura, come la “storia ufficiale”, è scritta (con ciò intendendo: enunciata, espressa) dai vincitori. come tale essa rinuncia all’avventuroso, al piacere dell’escursione e dell’inatteso, abiurando così anche all’incursione nell’inatteso. in poche parole rinuncia all’invenzione. e non v’è chi non veda come questo fenomeno abbia ben poco di artistico. il “vincitore” letterario, o colui che ambisce ad esserlo, non ha che da non avere coraggio, non ha che da evitare di osare. PROGRAMMATICAMENTE. questa è la lingua del potere, lingua morta e lettera morta poiché di essa, e dei libri in cui è scritta, niente rimarrà. è, questa, una previsione talmente facile perché consegue dalla totale mancanza di metafora, di espressività e di valore simbolico, riscontrata negli oggetti osservati.

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sisifeide

la lingua non si staglia sullo scrimolo per proclamare la sua costernazione abbaiando alla sconcia italia. ci arriva appena, spolmonata e ascetica, sfiancata dalle impervie rampe. slombata la lingua che impara a “morire in bici”. s’acceca e si spaura quando che è al sommo, sicché la vertigine la ributta indietro. ricacciata giù per lo stesso versante appena scalato, tutta rovesciata e rattorta, ellalingua riattacca l’erta del dire le cose, ora anfanando ora cantando, quando imbestiando quando ricamando, ma sempre alla caccia della migliore adesione alla realtà (andata in fuga). non ha il gusto della pesca nel torbido perché non è ruffiana né cialtrona né puttana. la mia lingua. RAVB era cognazione d’affetti coi via di testa. e lo stesso l’Anaconda. sarà per il pessimismo di una visione della vita in salita ma almeno è costretta a ricercare la migliore funzione espressiva dei mondi che sceglie di narrare. ben altro che scrivere per mondadori! nevvero, saviano? nevvero, piccole editrici autodistruttive, fresche fresche del nuovo imperativo di mimesi mondadoriana?
nel momento in cui la lingua raggiunge la vetta sa che ha appena un attimo per gridare la sua invettiva congestionata, che poi non ha più tempo e deve rotolare giù a “svolgere il compito cui è stata chiamata” (direbbe qualcuno).
che fa lo scrittore, ancorché scrittore civile? non affronta l’arte di dire le cose, bensì l’erta di dire le cose.
e scusate se sono nicola sacco

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sfuocato marco

è difficile cogliere in fallo marco travaglio, al quale poi si possono muovere tutte le critiche che si vuole ad esclusione di quella che non sia abbastanza documentato o che non argomenti brillantemente. tuttavia questo mi procura un piccolo, perverso piacere: nel suo articolo Frattini Dry scrive: “sempre sfuocato come Woody Allen in Harry a Pezzi [...]“

eh no, caro marco, nel film di Woody Allen la faccia sfuocata era quella di robin williams.

le torsioni dell'anaconda, letteraria

relazioni metamorfiche

Per il solo fatto che mette in musica la versione di Hölderlin, l’Antigonae di Carl Orff del 1949 si inserisce senza dubbio tra le metamorfosi filosofiche , poetiche e politiche del motivo di Antigone nella storia e nella sensibilità tedesca. È collegata alle interpretazioni hegeliane, ai dibattiti ispirati da Hegel e Hölderlin e alle teorie di Nietzsche sulla tragedia […] Il lavoro di Orff ha suscitato un disagio psicologico-critico. Molti lo hanno trovato seducentemente brutale. Altri solo brutale. Nell’Antigonae, coro e corifeo hanno un peso monumentale. Il loro modo di esprimersi è, come in tutto il resto della partitura, bruscamente sincopato, percussivo, testualmente articolato sino a rappresentare lo Sprechgesang. Mentre Honegger orchestra in modo tradizionale, il timbro e la struttura dell’orchestra di Orff puntano a degli effetti «neo-ritualistici» ed «etnografici». Le batterie di pianoforti segnano il ritmo dominante. Gli xilofoni, le marimbe, i tamburi di pietra, i carillon, i tamburelli, le nacchere, i gong di Giava, un’incudine, una congerie di tamburi africani, i cimbali turchi danno ai discorsi e alle odi corali un tono martellante, febbrile, ma anche piattamente metallico, quasi traslucido. Sono i vecchi patrizi di Tebe, tremanti, capziosi, eppure solenni e talvolta ispirati, come Sofocle può averli visti declamare, cantare e danzare. Secondo me ci sono episodi dell’Antigonae di Orff che riescono a rievocare l’effetto della tragedia meglio di ogni altra variante o imitazione.

George Steiner, Le Antigoni

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le intrusioni sensoriali dei morti

a voler tradurre la realtà “contro” le versioni mediatiche devo ammettere, visto il mio momento hegeliano, che il riformismo ottusamente perseguito dal partito democratico, con pertinacia solo apparentemente contraddittoria rispetto alla comune percezione di un soggetto politico amorfo e privo di identità e paralizzato da reticenze e assordanti silenzi, è il frutto più gustoso della politica italiana. il piddì, lui sì, nelle sue varie espressioni e nella storicizzazione dei modi assunti di volta in volta, una stagione politica dopo l’altra, è coerente come solo il personaggio di una tragedia può essere. e pazienza se, inscritto in un destino a cui non ci si può sottrarre, corre a rompicollo verso la sua estinzione. certi flippati e sciroccati di cervello, che dialetticamente agiscono dentro e fuori la creatura veltroniana, ne condividono la medesima sorte.

non può non essere così.

sono serio come serio se non addirittura sacro considero il motivo dell’amorevole cura per i morti.