[prima puntata]

Un fracasso nel cuore della notte. Il precipitarsi di tutti gli spaventi del mondo nei cuori nostri che impazzivano.

Ci fiondammo nella camera dilaniata da un grido prolungato che noialtri non avevamo mai sentito prima a Manuel. La sua vociona s’era squarciata in un pianto urlato disperatamente.

Lungo istanti che sembravano un’eternità non riuscivamo a placarlo, a strapparlo da un sogno che non voleva dissolversi. In preda all’agitazione stavamo tutti a dirgli Manuel, Manuel! Calmati, non è niente, stai buono. Poi di colpo, aprendo gli occhi, smise. Ansimava. Vidi bene nelle contrazioni delle mascelle, nell’imprimersi sul volto di una smorfia di severità, un immediato sforzo di concentrazione per riprendere il suo abituale contegno. Quindi fu lui, in un ribaltamento improvviso, a rincuorarci, invitandoci a sua volta alla calma.

“Non è niente. Eh, non è niente. Un brutto sogno.”

“Mocc’atte, Nino” fece Dario, massiccio di carne scosso dal panico. “I ladri hai sognato?”

La mole fraterna di uno e ottantasei non cessava di tremare come un fringuello. Nino stava già sorridendo per rassicurarlo che non era niente di che. Dal suo letto si era sollevato puntando i palmi delle mani sul materasso. Pensai al significato di quell’accenno di risata. Pensai che Manuel dicesse tra sé “i ladri, magari i ladri …”. Come dire che quell’incubo era stata una faccenda troppo più seria e brutta per essere raccontata al giovane Dario.

“Fai bere un po’ d’acqua a tuo fratello,” disse mamma che seduta sulla sponda del letto scostava un nerissimo ciuffo di capelli dalla fronte sudata di Manuel.

“Andiamo.” Spinsi il fratellone piccolo fuori dalla stanza.

Cosa aveva sognato Manuel quella notte?

Il ritrovamento di papà. Penzolante in una tromba delle scale.

Qualcuno lo aveva scortato sul posto e, aperto il portone, Manuel si era lanciato su per le scale in un’arrampicata furiosa fino a quando non era giunto all’altezza del corpo e lì, sporgendosi pericolosamente oltre il corrimano, aveva abbracciato le cosce di papà. Le spingeva in su. Forsennatamente su su, al punto che si erano dovuti mettere in quattro o cinque per farlo smettere in quest’azione ormai inutile e folle e per staccarlo dal corpo di papà, mentre lui gridava a squarciagola e veniva portato via.

Lo raccontò a mamma il mattino successivo, davanti alla tazza di caffè bollente delle sette meno un quarto mentre finiva di buttare giù due ottimini integrali. Poco prima rima di uscire per la sessione di corsa mattutina.