Archivi per il mese di Febbraio, 2011

altri spot, le torsioni dell'anaconda, letteraria, minimi sistemi

Duecento misti

Nella strada c’era gente che si chiedeva che diamine fosse quella puzza tutta nuova. Molti si lamentavano che era penetrata nelle loro case e che era davvero insopportabile. Bambini che vomitavano. Brizzolati cinquantenni già preoccupati del proprio cuore che scongiuravano eventuali crisi cardiache magari proprio a causa di questo fetore che faceva star male dal tanto che acciuffava allo stomaco. Una donna che quasi abortiva dal tanto che somatizzava. Un grassone che componeva il numero della locale compagnia dei carabinieri. E quando i carabinieri furono sul posto tutti a indicar loro da dove proveniva questo fiato sulfureo. Il bravo giornalista che giurava di aver visto i muri esterni della casa in questione trasudare liquidi fecali, no, seminali, no scusate fecali, fecali. I due carabinieri correvano nel viale, erano sul pianerottolo con le mani a mascherina sul volto e gli occhi irritati se non proprio lacrimanti. Suonavano. Niente. Suonavano e colpivano la porta. Ancora niente. Forzavano la porta e si ritrovavano coi piedi in un pantano scivoloso. Merda. Merda e silenzio. Merda e nessuno. Si lanciavano un’occhiata d’intesa: era successo altre volte di sorprendere intere famiglie in uno stato di degrado simile. Altre volte uomini e froci disperati e condannati da questo paese da incubo si erano ridotti a non uscire più di casa, abbandonandosi vieppiù e finendo con lo smerdare la casa in ogni angolo. Uno dei due carabinieri apriva una porta e scopriva una donna con uno sbuffo di capelli lunghi e grigi soltanto dietro un orecchio, come chi si fosse dimenticato di sciacquarsi via la pro-raso da quella parte, su un materasso completamente abbrunato di dissenteria. Continuando la perlustrazione entravano in un’altra camera. C’era un ragazzo gattoni che sembrava crogiolarsi nella pleplè, a guardar meglio muoveva a rana le braccia per dipartire i liquami densi e lasciare libera una porzione del pavimento sulla quale andava sistemando traversine e regolando lo scartamento tra i binari. Un carabiniere gli premeva due dita sul braccio, a scrollarlo delicatamente.

Corrado aprì gli occhi.

La radio aperta su Uomini e camion e tutto come sempre. Sempre peggio. Solo un potente puzzo di schifo composito che arrivava dalla finestra. Lo stesso che ammorbava la città.

altri spot

All Inclusive

La mattina c’è da tornare a carreggiare il bolide. Ninì si riprende che più lemme non si può.

I faticatori alle sei già lo aspettano a Matera, Altamura, Gravina, via via fino a Bari.

Fuori di casa, alle cinque di mattina è finalmente un po’ più fresco. Con bibitoni di caffè in corpo, la cacarella già evacuata in una sciolta, non rimane che recarsi alla rimessa.

Nel suo pullman sono sempre saliti ragazzi innamorati proprio andati, gli stessi che poi a sera rimontano e sui sedili ultimi si mettono a barcagliare con le fanciulle arrapati sditando su patonze appena appena date e cazzi fuori fuori sparati, strappano le tendine di tela già scolorite e si nettano la genitaglia incontinente.

Ci montano su anche signore grosse come quartare coi piedi doloranti ancora prima di cominciare la giornata; ragionieri d’accatto eleganti fino a rasentare l’insensatezza; gli scemi dei villaggi; il controllore che va per travesta e non vede l’ora di confidare al conducente come il pene abbia ormai occupato il territorio; lobbisti, accomandatari, semipotenti, marmaglia a colori di seventy nike, scaramellanti a tutta manetta, brontoloni vegliardi incazzati per chissà quale governo ladro, cinquanta e sessantenni fatti di viagra per molestare i fiorellini che segano la scuola. Ciurma in età da preghiera che oltretutto t’appesta l’aria con le buste spitterranti cavolfiori e focaccione fatte alla carlona e poi sudore copioso a vanificare ogni divieto di fumare, anzi tutti fumati, crakkati innamorati mezzoguitti ridenti cristonanti dropout musigialli tasconati descolarizzati fitusi settuagenari universitari plurisderenati dai docenti spallati e geniali che prima dell’ultimissimo esame ti dicono IN CULO! E via, lasciata la facoltà per anni per sempre per viaggiare sul crocierone di Ninì.

Gli uniposca poi, quelli son sempre saliti da soli, coi loro abbonamenti vitalizi alla società ferrotranviaria, sulle loro minuscole gambettine prendono posto e certosini intraprendono miniature e figurette di cazzi in bocca e cazzi in culo a iosa, poi tante scritte e messaggi tipo GIANNI FERRETTI III C SEI TROPPO SOMMO, U.C.N. W BARI, MARCO È SOTTOPOMPA DA NICLA, CIAO NICLA SAI CHE CI HAI UNA BELLA TECNICA RISUCCHIOSA MA PERÒ TALVOLTA MI FAI SENTIRE I DENTI BY MARCO, MERDOSO DI UN MARCO SAI CHE FAI GRATTA VIA LA MUFFA DA QUEL TUO GLANDE LORDO BY NICLA.

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ghiandola n. 90

Nel quartiere dove sto c’è tanta disgraziata marmaglia tra i quattro e i dodici anni che gioca, schiamazza, delinque, ricatta, bestemmia, ride, piange, sputa, impara, cade, si ferisce, non mi lascia tranquillo mai né concentrato sui libri.

Rizio, otto anni, da ieri ha un occhio bendato perché l’altro è pigro. La sua nuca, selvaggia di capelli sfoltiti troppo raramente, ondeggia tra le figure fanciulle e già racchiude pulsioni inconfessabili.

Me ne sto qui seduto su gradini lebbrosi e a scarsi metri da me Rizio sta raccontando il suo sogno di stanotte ad altri marmocchi.

Dice di essere stato messo incinto da un bambino suo compagno, Stefano, di sei anni. Ed è nata Arianna, partorita dietro un cinquecento parcheggiato qui nel cortile.

“Dice di averne fatti altri duecentociquanta”, rivela un altro, Michelino.

Rido mezzo sbalordito.

Osservo Rizio e penso che tutte le scintille negli occhi di tutta la letteratura mondiale, sono scoccate, o non saranno mai più scoccate, nell’unico suo occhio aperto, spento. Anche se azzurro.

letteraria

il teorema della manomorta invisibile

- Ma i libri che scrivi poi li vendi?

- Ma che cazzo me ne freca a me, scusa???

- Non puoi eludere questa domanda.

- Va bene, allora mi chiedi se vendo. No, io non vendo. Io compro.

- Come?

- Compro, sì, compro. Io scrivo nella carne. E compro corpi, anche guasti. Adesso: fuori dai coglioni, dài, dài, dài!!!!

altri spot, minimi sistemi

squadri da ogni lato

lo scopro guardando l’infedele

e a me roberto saviano che arringa la folla del palasharp con queste parole “è arrivato il momento di dire ciò che siamo e ciò che vogliamo” mi manda ai matti, c’è niente da fare.

prendere MONTALE e utilizzarlo a proprio comodo, ribaltando il senso di quei versi inequivocabili e già inflazionati, prima che risultare una faciloneria più afflittiva di uno sloganino veltroniano, mi pare proprio strizzatina d’occhio al pubblico delle più viete. contiene, lo slogan, una somma slealtà verso quelle parole scritte dal Poeta apposta per significare l’opposto di quanto che lo scrittor incerto sfacciatamente recita dal suo trabiccolo amplificato. le cancella impunemente, quelle parole e nel compiere questa precisa operazione brutalizza l’enormità filosofico-letteraria che in Non chiederci la parola meravigliosamente precipita.

e non è da credersi che dopo gli sfondoni su Sciascia e i professionisti dell’antimafia sia nuovamente inciampato.

anzi, se tanto mi dà tanto, saviano si propone come Vate.

se se ne va su questa china, così come lo sloganista slogato veltroni è solo un morto (politicamente) che non ha pace perché non ha ancora ottenuto degna sepoltura, lui come scrittore ci finisce allo stesso modo. e non solo come scrittore ma anche come giornalista.

letteraria

a tredici euro

“Che cazzo stai facendo?” disse il ragazzino pelato.

Un ragazzino coi capelli ricci stava cercando di staccare la bottiglia di coca-cola dallo spago che girava intorno al ciuccio e al quale era assicurata una indescrivibile quantità di roba.

“Fatti i cazzi tuoi!” disse quello con i capelli ricci, guardandolo appena con la coda degli occhi e facendo segno di starsi zitto. Riaffondò le mani tra pacchi di pasta e fiaschi di vino.

Il ragazzino pelato fece il giro intorno al palchetto posato sull’erba pietrosa, raggiunse quell’altro alle prese col ciuccio immobile e lo spinse via con violenza.

“Lascia stare la mia casa!”

Quello ruzzolò per terra e si rialzò furente pronto a restituire la pariglia. Ma c’era qualcosa che non gli quadrava.

“La tua casa?”

“Sì la mia casa, hai qualche problema?” Countinua a leggere »

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impietramenti

Mi sentivo fiero a mia volta di farmi vedere al suo fianco, ché ormai ero un attore che lavorava con Regista. Poi il conto lo sistemava lui.

[...]

Si andava alla Feltrinelli, mi faceva conoscere autori enormi che leggo ancora oggi. Acquistava una decina di libri e poi si tornava all’autosilo a ritirare la sua renò. Se ne usciva e si rinasceva al giallognolo artificiale della sera di Bari; al primo semaforo rosso lui si contorceva tutto per prendere la carrettata di libri deposta sul sedile posteriore per mettermene un quattro - cinque tra le mani, sigillando il gesto con un “questi sono tuoi”.

[...]

Avevo l’esame di statistica II – demografia in quel periodo e volevo dare morte violenta a trend, cicli, mortalità, zero natalità, nuzialità chi se ne frega, quozienti vari, flussi di popolazione, qualche pisciatina binomiale e buonanotte ai suonatori. Regista però non si voleva riprendere. Di giorno sembrava più sollevato, ma di notte tutt’altro, ero lo stesso e anche peggio di quel che ho detto, e chi era deputato a stargli vicino di notte, perché se si voleva essere artisti bisognava tirar tardi, ero sempre io. Mariella era un fantasma, un vestito di donna appeso dietro la porta della stanza di Regista.

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Umbè

Questo giorno raffermo come un pane. Dentro una luce da rito evangelista. Frenato come terra sotto l’unghia. Pisciato come una mutanda. Rampognato da vecchie streghe. Intensità sputata ‘n faccia. Un uccello rimpannucciato quando che è all’acme. Bavosa e cornuta vita.