letteraria

THE SHARDS, un romanzo che perfeziona tutto dell’opera di B.B. ELLIS

LE SCHEGGE (Einaudi, 740 pp.) è certo una lettura gratificante per chi segue da tempo Bret Easton Ellis. Non delude, anzi delizia il suo lettore storico, non fa che prendere la biografia dell’autore, letteraria e non, aprirla e dissezionarla per poi riassemblarne i “frammenti” anche con, forse soprattutto con, l’aggiunta di inserti magari estranei e scioccanti, magari bestiali - proprio come fa con le sue vittime il Pescatore a strascico, il serial killer convitato di pietra in tutto il romanzo. D’altra parte troviamo all’interno del libro la sua interpretazione autentica: “a me piaceva raccontare storie e abbellire un episodio altrimenti banale (…) ma non più di tanto, e così aggiungevo uno o due dettagli capaci di rendere la storia effettivamente interessante per l’ascoltatore dandole un che di umoristico o sorprendente o scioccante, e mi veniva naturale”.
Sicuro in The shards ci sono tutti i motivi di Meno di zero, di American Psycho, di Glamorama: la paranoia, lo stordimento con le droghe, le ossessioni, gli incubi, l’interscambiabilità dei ruoli giocati in società, le “pantomime che fanno percepire solo il bordo delle cose”, la bellezza dei corpi dei ragazzi e le efferatezze che su quei corpi si abbattono; ma è altrettanto sicuro che gli stessi motivi qui rifiutano la gratuità enigmatica tipica delle opere precedenti (e che non nego costituisse il loro principale elemento di fascinazione) per essere coerentemente sviluppati ed esaustivamente rappresentati in funzione di una storia nerissima di gelosia, sesso (“una fame basica di sesso che non era possibile né appagare né stoppare”, il desiderio scatenato, di “una ferocia impossibile da gestire”) e morte che fila via compatta sorretta da un magnetismo che fa divorare le pagine.
Ecco allora che questo lettore storico (io lo sono, senza nessun altro merito che averlo letto, beninteso) resta irretito in questa esperienza di rivisitazione di tutto. E non c’è dubbio che il libro abbia tutto per sedurre anche un lettore che di Ellis non abbia dimestichezza. A partire dalla ineccepibile restituzione dell’atmosfera ‘80, la sensazione  così diffusa all’epoca che non ci fosse niente nella vita che avesse un significato salvo la superficie delle cose, la musica di quegli anni spesso commento della sperimentazione continua del vuoto esistenziale, ma anche “gli infiniti piccoli drammi a proposito del nulla”, i capi alla moda su “manichini che fingono di essere umani” che al momento di essere fotografati “nessuno si mise in posa sul serio – perché stiamo già posando”, gli stili di vita “così disponibili riguardo a ogni possibilità”.
A ben guardare, quanto appena elencato vige tuttora, e sono passati quarant’anni, solo più soffocato dal puritanesimo imperante. Così che nel bene e nel male gli eighthies sono un decennio molto più avanti di questi anni 20. Si veda, infatti, come risolve Ellis, da quel buon vecchio enfant terrible che è, narrativamente ed esponendo solo sé stesso, tutta la questione del Me Too, della cancel culture, del politically correct, dell’inclusività linguistica, raccontando di come vanno a finire le lusinghe di un produttore cinematografico nei confronti del Bret scrittore che ha una storia da piazzare: “Sì, tecnicamente ero minorenne, ma nessuno mi aveva fatto del male, non ero stato aggredito, avevo lasciato che accadesse (…) e davvero non provavo nulla né in un senso né nell’altro riguardo a ciò che era avvenuto nella camera da letto del bungalow quella domenica di ottobre. Semplicemente speravo che mi avrebbe condotto a un ingaggio come sceneggiatore, ma c’era la possibilità che ciò non avvenisse: che l’offerta fosse stata effimera, uno scherzo, uno stratagemma che permettesse a lui di assaggiare il mio cazzo”. O ancora: “Non fare il frocetto” dice più d’una volta Bret a se stesso.
Ma non solo questo. Le notazioni di costume nel brano che segue sono sovrapponibilissime alla nostra epoca, mutando quel poco che c’è da mutare:
“Noi ragazzi iniziavamo la giornata dandoci appuntamento per pranzo da qualche parte a mezzogiorno - uno dei posti che preferivamo era il Yesterdays, dove servivano il sandwich Monte Cristo, oppure prendevamo l’ascensore che dal piano stradale scendeva al Good Earth, un ristorante salutista costoso e alla moda dove bevevamo giganteschi bicchieri di tè ghiacciato alla cannella e mangiavamo insalate, o ci ammassavamo in uno dei séparé rossi dell’Hamburger Hamlet per un toast al polpettone dopo ave comprato i biglietti per il successivo film al Bruin (…) e facevamo occasionali puntate alla sala giochi Westworld dove ci sfidavamo a Space Invaders e Pac-Man o gironzolavamo per Postermat ascoltando dischi di band femminili anni Sessanta o andavamo a caccia di musica nuova da Tower Records o da Wherehouse oppure sfogliavamo tascabili in una delle tante librerie disseminate lungo le strade. La serata finiva da Ships, un caffè rétro sul Wilshire, ai margini del Westwood Village, col tetto a forma di boomerang e l’insegna al neon in stile età atomica, dove ordinavamo Coca-Cola e milkshake alla vaniglia e fumavamo sigarette ai chiodi di garofano, un posacenere e un tostapane su ogni tavolo, e ci fermavamo fin dopo mezzanotte. Sperimentavamo con la nuova libertà che si era spalancata di fronte a noi, attivando qualcosa all’interno del nostro gruppo ora che volevamo diventare in fretta adulti e lasciarci alle spalle quello che ormai ci appariva come il soffocante mondo dell’infanzia. Time for mi to fly …”
È un giacimento questo libro.
BEE fa l’esame istologico ai propri sentimenti. Vi procede davvero col vetrino della scrittura, forse mai così completa, alla quale, in comune col minimalismo, resta solo l’attenzione per il dettaglio minimo, pulviscolare, ma che qui però manifesta una sontuosa prodigalità nell’attribuzione delle intenzioni, nelle descrizioni delle psicologie, della cornice losangelina, delle scene d’azione. Insomma non più quello stile scarno e intorpidito ma la rievocazione analitica e ricca di interpretazioni di quel tempo scarno e intorpidito in cui lui e i suoi ragazzi ricercavano con fermo proposito la freddezza, l’anestesia, l’estetica dell’insensibilità, e di come al tempo il lui scrittore (questa volta senza i suoi ragazzi) cercasse di far corrispondere a tali vite, allora come oggi oggetto della narrazione, uno stile privo di orpelli, raffreddato, anzi ghiacciato. E la rievocazione, avviata per riempire le lacune e chiarire le elusioni “perché so che cosa accadde alla fine: conosco la trama segreta”, si volge in tutt’altro che nell’insensibilità, popolandosi invece di venature ed esiti finanche melodrammatici (“ero pronto ad andarmene perché avevo bisogno di guidare per la città e ascoltare musica triste e fumare sigarette pensando a Ryan”), e infine atrocemente melodrammatici.
Su tutto l’abilità di BEE che pur adottando il punto di vista di uno che racconta al passato e a quarant’anni di distanza, e dunque sa come la storia andrà a finire, tanto che spesso anticipa che quella tale situazione non si verificherà mai più nello stesso modo, si dispone a rivivere in maniera così intensa quel 1981 in cui aveva 17 anni da riappropriarsi delle allucinazioni di allora, sperimentandole di nuovo nel presente così da rendersi un narratore totalmente inaffidabile e ambiguo, e come tale favorisce l’effetto sorpresa, anche su se stesso, del susseguirsi degli eventi.
È un romanzo che va al setaccio di fondamenti di realtà da opporre a quella costante sensazione di irrealtà che attanaglia e aliena i protagonisti dei libri precedenti e di questo. Solo che nei precedenti, i personaggi non se ne fregavano, accettavano l’irrealtà come dato di natura. Qui invece, e questa è la differenza, Bret ci prova, è più umano. La bellezza però è che le ambiguità restano tutte. Bret Easton Ellis non smette di sedurre.
La traduzione di Giuseppe Culicchia mi pare sia un capolavoro nel capolavoro. Anche chi non mastica l’inglese si accorge di come scorre liscia, senza inciampi o forzature, una lingua chiara, precisa ed efficace anche quando è alle prese con la descrizione del lato oscuro, irrazionale e caotico dell’animo umano.

altri spot

JONIO OPEN SUMMER 2022

Cinque sbarra sei squinzie iberiche pervennero in riva al mare gallipolino a sconvolgere con missile anticarro un fino a quel momento meriggiare pallido e assorto.
Posato che ebbero il loro Javelin quasi sul bagnasciuga a sparare decibel, centibel, millantabel di Boro Boro, VillaBanks - El Amor ft. Fred De Palma, eccole fiondarsi in acqua fino ai ginocchi, non di più, a ballare e dimenarsi facendo sfoggio di costumini perizomici/tangoidi/brasilianici & superfici scoperte altamente instagramabbili. E infatti tutte, smartphone alla mano, a farsi selfie, forse storie, forse reel. E nel frattempo ballare e provocare la spruzzaglia. Tutta la spiaggia era per loro, coppie distese sui teli mare con lei col muso appeso e lui che finge gli occhi chiusi e in realtà quell’occhio più lontano da lei è mezzo aperto a non perdersi lo spettacolo. Però stranamente neanche un manzo da spiaggia si butta al gioco. Solo un piccoletto, tre anni e mezzo, si infila nel gruppetto e prende a ballare a modo suo, salutato dalle iberiche tra grandi feste.
C’era invece un vero cretino da spiaggia in tanga giallino che turbava l’estasi visiva parlando al telefono in manifesto aziendalese andando frenetico su e giù per la battigia, indifferente a tutto il baccanale.
Poi il marmocchio treenne lascia d’improvviso la comitiva, raggiunge i genitori sotto l’ombrellone in prima fila e tira e incita: dai papà vieni a ballare anche tuuuu!
Sguardo inceneritore della mamma.
“Ehm, no a papà, non è proprio il caso.”

minimi sistemi

FilodAriannaPutin

La crescita del consenso per Putin alimentata dalla riemersione di quella fetta di opinione pubblica che si ritiene comunista o di sinistra, o di sinistra radicale, si spiega così: Vladimir Putin e tutte le sue gesta sono il classico, direi standard, prodotto del comunismo sovietico, quindi del comunismo tout court, dato che non si dà un comunismo diverso da quello storicamente sperimentato.

Il fatto che il presidente russo sia anche apostrofato come carnefice nazista non deve sorprendere: le due ideologie totalitarie sono pari in tutto, sovrapponibili, identificabili. A questa parificazione di due sistemi sostanzialmente criminali e parimenti genocidi ha provveduto pochi anni fa il Parlamento europeo. Dunque Putin può essere dipinto indifferentemente con la maschera del macellaio nazista un giorno, del devastatore comunista il giorno dopo.

L’interscambiabilità, se non smascherata, fa gioco a tutti e può essere usata secondo la convenienza di ciascuno e del momento. Infatti, di questa interscambiabilità Putin per primo si è giovato: se ci si va riprendere il famigerato suo discorso che annunciava l’ “operazione militare speciale” balza agli occhi come gli obiettivi enunciati a giustificazione dell’invasione sono, in un modo apparentemente farneticante, sia la decomunistizzazione che la denazificazione dell’Ucraina. Forse Putin è un democristiano?

ogni tanto vige un tantra

Economia e Amnesia

Dei 25 stati membri dell’UE che nel 2012 sottoscrissero l’accordo del Fiscal Compact, l’Italia è l’unico paese che ha inserito in Costituzione l’obbligo del pareggio di bilancio.
Tutti esperti di macroeconmia e nessuno però che rileva l’anomalia tutta italiana che ha costuzionalizzato la cessione di sovranità e, azzarderei, la svendita del paese allo shopping degli egemoni. Costituzionalizzato in una Costituzione rigida, per giunta. Costituzionalizzato principi che invece andavano negoziati politicamente di volta in volta.
Tutti preoccupati dei debiti che lasceremo ai nostri figli ma nessuno capace di notare - a parte il vomitevole zelo parlamentare del 2012 - che il profilo di incostituzionalità è il vero punto debole del programma economico pentaleghista.
Per quel che mi riguarda, chiederei allora a Lega e 5 Stelle di andare più a fondo, eliminare da ogni possibile scenario la bocciatura della legge di stabilità per incostituzionalità, lavorando magari a un ritorno al passato secondo la procedura all’art. 138 della Costituzione.

ogni tanto vige un tantra

La Storia secondo me. Firmato Nennillo Smucina.

a proposito della polemichetta estiva tentata dal Rettore dell’Università di Storia, Fantasia e Lettere Desuete di Modugno…

è saltato su, l’esimio Storico, per contestare il numero di anni di abbandono del centro storico del paese. Non gli va giù 50. Ok, ma quanti?

Volendo dimostrare alla fine non si sa bene cosa - forse che il Centro Storico di Modugno non è stato mai abbandonato? - ha portato come esempio della tesi che non ha avuto il coraggio di enunciare una serie di interventi, ora scontati ora francamente insulsi, realizzati nientemeno che “dalle amministrazioni che si sono succedute”. Ponendo tutto questo in antitesi, improbabile e ridicola, con l’operato dell’amministrazione in carica. La quale, invece, il centro storico lo sta sistemando per davvero.

Dunque, ascoltate e leggete il Referenziatissimo e poi

trasecolate amici, perché nel centro storico c’è stata PERSINO la liberazione dalla schiavitù “du caratiedde”, perdindirindina! E poi mantenetevi forte, amici, perché ci sono state addirittura “le diverse mostre di pittura, gli spettacoli teatrali, le acrobazie di giocolieri e di artisti di strada; le edizioni delle chiese e dei palazzi signorili aperti, con la presenza di guide, per le quali spesso venivano impegnate studenti delle scuole della città”.

Ohiohihoi, Eccellentissimo, non si addice certo alla postura di uno Storico Rigoroso questa coazione a prescindere dallo stato di prostrazione in cui effettivamente versava il borgo antico fino a pochi mesi fa. Lei, Reverendissimo, chiudendo gli occhi sul passato recente e meno recente , si avventura su un terreno decisamente negazionista, cosa che dovrebbe essere avvertita come il peggiore dei cancheri da chi fa il suo lavoro. Eppure disserta con convinzione, negando l’evidenza, dando chiaramente a intendere quali sono le sue antipatie e idiosincrasie (lo Storico farebbe bene a tenerle da parte). È chiaro, il presente, soprattutto politico, non le piace, come il presepe a Nennillo. E invece di argomentare col metodo dello studioso cosa fa? Va a smucinare in un repertorio che custodisce solo lei in chissà quale angolo del suo cuoricino, per sostenere che il centro storico andava alla grande quando la classe dirigente era quella che garbava a lei, Chiarissimo. E pazienza, se nella più incontrovertibile realtà, quella cioè osservabile ad occhio nudo, è stato invece il più oltraggiato dei centri storici, orribilmente abbandonato a se stesso, in un diffuso decadimento anche propriamente strutturale, rimasto sporco più di una discarica per un tempo interminabile e per un tempo interminabile luogo di disfacimento delle persone, soprattutto bambini e anziani, teatro di uno sconcio mercato di prezzolatissimi posti letto per immigrati.

E allora sì, si può, si deve rilanciare. Per decenni si è tenuta la mano in testa al centro storico.

Premeditatamente mantenuto in stato di abbandono per un periodo ultracinquantennale che pesa come 150 anni di impietosa trascuratezza. Evidentemente lo volevano così: pappatoria per guide catalettiche vocate a ricoprire di glassa verbosa un carcassa in avanzato stato di decomposizione. Così l’avrebbe voluto il nostro Insigne, gioiellino trequartista con la casacca del modugnese con l’esclusiva, il quale par che dica: perché mettere piede in quella cloaca quando si può entrare corpo e anima nel favoloso mondo del mio paper, condensato pregevolissimo delle meraviglie culturali locali? E se proprio non resistete alla curiosità di andarlo a vedere dal vivo - par che continui lo Smucinerrimo - bene, allora aspettate un attimo che mi organizzo e vi ci porto io, a veder le mie parole. Mica l’ossario a cui è stato ridotto.

Ah, che cosa non si fa per vendere qualche copierella in più dei propri esercizietti accademici! E poi, di questa intellighenzia sempre schierata dalla parte del peggio che il paese abbia mai sperimentato …  beh, se ne ha davvero basta.

I lavori in corso, come gli altri in atto di rigenerazione urbana, sono stati progettati, programmati e voluti dalla Giunta Gatti” afferma Nennillo. Ci siamo. Vogliamo vedere cosa dice del Centro Storico il Documento Programmatico di Rigenerazione Urbana che nel 2011 quell’amor suo della Giunta Gatti presentò in Regione Puglia e che - com’è noto - nel 2011 NON FU FINANZIATO?

Obiettivo fondamentale del programma dovrà consistere nella realizzazione delle attrezzature pubbliche a servizio del nucleo antico attualmente mancanti, nel recupero edilizio ed urbanistico di alcune sue parti e nel recupero di alcune aree pubbliche ad esso prospicienti. L’obiettivo dovrà essere quello di ripopolare il nucleo antico non solo di residenti ma anche di fruitori a vario titolo dei servizi e degli ambiti di carattere storico ivi collocati [...] Le attività dovranno essere mirate a ridare al nucleo antico il suo originario significato di centralità nella vita cittadina, dato che ad oggi risulta essere marginale, per le sue condizioni di abbandono e per la mancanza di funzioni ad esso associate.  [...] Perseguire strategie di intervento finalizzate ad affrontare il problema legato al degrado edilizio e al disagio abitativo che caratterizzano prioritariamente il nucleo antico della città e le aree ad esse immediatamente adiacenti [...] I servizi presenti risultano allo stato insufficienti, al di fuori di “griglie” relazionali, e comportano la dipendenza del contesto dagli altri quartieri urbani, in un rapporto di tipo “passivo”, non sussistendo interscambio funzionale e relazionale con le aree adiacenti. Si riconosce, inoltre, un diffuso degrado di tipo fisico, strutturale, funzionale, ambientale, sociale ed economico.

Quanto alle condizioni conservative e di degrado, il nucleo antico in alcune sue parti, soprattutto nella parte più antica, risulta caratterizzato da un degrado edilizio ed ambientale distribuito “a macchia di leopardo”. In generale esso risulta carente di spazi pubblici attrezzati e di servizi in genere, di parcheggi a servizio della residenza. Si registrano al suo interno alcuni caratteri della marginalità urbana, non sussistendo adeguato interscambio funzionale e relazionale con le aree adiacenti. Ciò sostanzialmente avviene per il diffuso degrado presente di tipo fisico, strutturale, ambientale, sociale ed economico, fattore che risulta essere incompatibile con un’area urbana, come quella del centro storico di Modugno, ricca di contenuti storici ed emergenze architettoniche tanto significative.

La tipologia presente nell’aggregato viene utilizzata in prevalenza ad uso abitativo, ma in forma sottodimensionata rispetto alle potenzialità del contesto. In taluni casi gli alloggi presentano, inoltre, situazioni igienico-sanitarie insufficienti e con un livello di attività abitative tali da generare anomalie e conseguenze sociali del tutto negative. Sono discretamente distribuite attività economiche ai piani terra degli edifici, ma tali destinazioni, unitamente ad una scarsa utilizzazione ad uso residenziale dei piani superiori degli edifici, rendono l’area poco frequentata nelle ore serali e notturne, incrementando il livello di insicurezza locale: nel nucleo antico ci si trova in presenza di un tessuto urbano centrale, ma in un certo senso marginalizzato.

Complessivamente, dall’analisi dell’ambito di intervento e del contesto specifico individuato, si sono osservati: 1. Problemi di degrado urbanistico: il contesto si caratterizza per la insufficienza di aree destinate alla vita pubblica e/o economica. Le aree verdi si presentano spesso in condizioni di abbandono. Le piste ciclabili risultano essere totalmente assenti, i percorsi pedonali non sempre accessibili a tutta la collettività, presentando spesso barriere architettoniche di difficile superamento. Le aree a parcheggio non sono adeguate e dunque ne consegue una scarsa razionalizzazione del traffico urbano. 2. Problemi sociali ed occupazionali: la scarsa propensione alla creazione di nuove opportunità di lavoro produce riflessi negativi sui redditi dei cittadini, con un aumento delle condizioni di povertà e di marginalità della componente giovanile, contribuendo ad aggravare una situazione socio economica locale che risente del carattere di monofunzionalità del contesto. 3. Scarsa appetibilità dell’area per le destinazioni previste dal settore terziario, in mancanza di un razionale sistema delle aree pubbliche, dei percorsi pedonali a discapito delle aree carrabili, di un funzionale sistema di urbanizzazioni primarie ed impianti a rete, di una condizione precaria degli edifici presenti, spesso bisognevoli di interventi di restauro architettonico, soprattutto per quanto concerne le facciate degli edifici sia residenziali che pubblici, ovvero di ristrutturazione edilizia.

Firmato: vecchie glorie del passato

Trilogia dei Coltelli

Al principio era l’incubo

[prima puntata]

Un fracasso nel cuore della notte. Il precipitarsi di tutti gli spaventi del mondo nei cuori nostri che impazzivano.

Ci fiondammo nella camera dilaniata da un grido prolungato che noialtri non avevamo mai sentito prima a Manuel. La sua vociona s’era squarciata in un pianto urlato disperatamente.

Lungo istanti che sembravano un’eternità non riuscivamo a placarlo, a strapparlo da un sogno che non voleva dissolversi. In preda all’agitazione stavamo tutti a dirgli Manuel, Manuel! Calmati, non è niente, stai buono. Poi di colpo, aprendo gli occhi, smise. Ansimava. Vidi bene nelle contrazioni delle mascelle, nell’imprimersi sul volto di una smorfia di severità, un immediato sforzo di concentrazione per riprendere il suo abituale contegno. Quindi fu lui, in un ribaltamento improvviso, a rincuorarci, invitandoci a sua volta alla calma.

“Non è niente. Eh, non è niente. Un brutto sogno.”

“Mocc’atte, Nino” fece Dario, massiccio di carne scosso dal panico. “I ladri hai sognato?”

La mole fraterna di uno e ottantasei non cessava di tremare come un fringuello. Nino stava già sorridendo per rassicurarlo che non era niente di che. Dal suo letto si era sollevato puntando i palmi delle mani sul materasso. Pensai al significato di quell’accenno di risata. Pensai che Manuel dicesse tra sé “i ladri, magari i ladri …”. Come dire che quell’incubo era stata una faccenda troppo più seria e brutta per essere raccontata al giovane Dario.

“Fai bere un po’ d’acqua a tuo fratello,” disse mamma che seduta sulla sponda del letto scostava un nerissimo ciuffo di capelli dalla fronte sudata di Manuel.

“Andiamo.” Spinsi il fratellone piccolo fuori dalla stanza.

Cosa aveva sognato Manuel quella notte?

Il ritrovamento di papà. Penzolante in una tromba delle scale.

Qualcuno lo aveva scortato sul posto e, aperto il portone, Manuel si era lanciato su per le scale in un’arrampicata furiosa fino a quando non era giunto all’altezza del corpo e lì, sporgendosi pericolosamente oltre il corrimano, aveva abbracciato le cosce di papà. Le spingeva in su. Forsennatamente su su, al punto che si erano dovuti mettere in quattro o cinque per farlo smettere in quest’azione ormai inutile e folle e per staccarlo dal corpo di papà, mentre lui gridava a squarciagola e veniva portato via.

Lo raccontò a mamma il mattino successivo, davanti alla tazza di caffè bollente delle sette meno un quarto mentre finiva di buttare giù due ottimini integrali. Poco prima rima di uscire per la sessione di corsa mattutina.


festa della mamma

Da “Passaggi”

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Mio padre era veloce

Il malo vento soffia tre volte per le contrade, campestri e urbane, già duramente battute - nel senso proprio dell’essere lavorate a caldo - dalla canicola. Tre onde d’urto terrificanti scuotono abitazioni a svariati chilometri di distanza. Si alza un torcione di fuoco fumo e cenere che in pochi istanti è già un ciclope grigionero che ogni cosa sovrasta e tutti gli uomini atterrisce.

Se non esistesse nella memoria modugnese il 1959, uno penserebbe: “Ecco l’ISIS, prima o poi anche in Italia doveva arrivare. Un attentato proprio a Modugno”.

Invece è il 1959 che ti ancora alla realtà e ti inchioda all’identità. Già perché la Modugno disgregata, sfilacciata, dispersa, con cui spesso in molti si sono trovati a fare affannosi conti, si accende all’improvviso, per ritrovare se stessa e una specie di tragica unità, nel trauma che salda il 2015 al 1959. Un trauma che ti costringe un minimo a ricordare da dove vieni, quali eventi hanno segnato la tua storia, quanta roba in mezzo a queste due date non è servita, e non serve. Quante illusioni e vanaglorie, tese come corde inutilmente coriacee tra due anni zero, ci hanno nel frattempo lesionato nel profondo.

Tanti modugnesi raccontano del 1959. Quando mio padre era veloce.

Con la calura che da un mese a questa parte incrudelisce, perseguita e sfinisce, rimpiccioliscono a vista d’occhio gli indumenti sulla pelle degli uomini. Per ogni giorno in più da passare in questa fornace c’è per strada un uomo in meno che sopporta i pantaloni, una donna in meno il vestitino. Così, calzoni e camicie lasciano spazio a pantaloncini e canotte, le scarpe ai sandali e alle infradito, i calzini al piede nudo e basta. A vederli così, sempre più svestiti, con la poca stoffa rimasta addosso quasi solo per coprire le parti vergognose, questi uomini e queste donne, e i ragazzini già a torso nudo, potrebbero sembrare gli stessi del 1959, nulla di moderno, sempre gli stessi stracci addosso. Perché un’estate feroce, che si svolge in costanza di caldo africano, può piallare le epoche, azzerare il tempo, offrire squarci visivi eternamente uguali. Arcaici. Ancestrale, è questo il termine scomodato e variamente adattato, con cui si scapricciano i media, per la specifica bisogna e per quando vogliono commentare cose oscuramente e tragicamente legate al meridione d’Italia. Meno poetico ma forse più calzante, e anzi più impietosamente esatto, lo Svimez che in questi stessi giorni, col suo rapporto, restituisce un Sud “a rischio di sottosviluppo permanente”.

La collinetta, un’ondulazione lievissima, è la stessa del 1959, quella che sorge su una sponda della lama piccola, in contrada Balsignano. Poco più giù un casale fortificato resiste sin dall’alto medioevo ed è intanto diventato pregevolissimo sito di interesse culturale. Ma sai che per trovare distruzione e morte, oggi come nel 1959, devi percorrere il curvone tracciato nella depressione del terreno, risalire per altri centocinquanta metri e, prima di arrivare al casale, buttarti in mezzo agli ulivi , là dove se ne sta infrattata la stessa fabbrica dei botti che saltò in aria cinquantasei anni fa, stesso disastro, stesso nome in ditta, insomma, ahiloro, ahinoi, stessa famiglia. Più una manciata di operai spazzati via mentre lavoravano per incendiare di fragorose cattedrali di luce i cieli notturni nelle feste di paese.

Così gli “arcaici” si riversano in strada e imboccano la provinciale Modugno-Bitritto immersa nella campagna ribollente. Lo fanno a piedi, di corsa, in bicicletta, sui motorini, in direzione polveriera ‘Bruscella’, incontro ad altri scoppi che, benché minori, alimentano il terrore che non tutto abbia finito di esplodere e, quindi, chissà cos’altro può accadere, quale apocalisse può ancora venire giù.

Dopo il boato, il martellare compatto delle cicale lacerato dai suoni delle sirene dei primi mezzi di soccorso. Ogni tre minuti ne sfreccia uno.

Sbucando dal curvone sei investito da ventate di zolfo e volteggi di cenere. Sei entrato nel nocciolo rovente di un luglio interminabile. Parte ancora qualche razzo che rilascia fontane di colore in mezzo alla nube di fumo. Sei nel cortocircuito di sessant’anni di storia, nel big bang di questo paese, nel nucleo fondante di un orizzonte mitico e luttuoso.

[Quel ragazzino era sempre di corsa, sempre a far mulinare i garretti, per cose che neanche presentavano un motivo per farle così di corsa. Non camminava mai, correva solo. E quella velocità prometteva bene. Già trottava per chissà cosa nella strada polverosa quando arrivò la tremenda rombata che lo dirottò all'istante in direzione della polveriera. Correndo veloce veloce nei suoi braghini, fu tra i primi ad arrivare.

Quel che videro i suoi occhi di pischelletto, corpi carbonizzati tirati via dalle macerie, me lo ha raccontato dopo, quando sono arrivato io ad essere pischelletto e insieme s'andava a correre nelle strade di campagna passando proprio davanti alla fabbrica dei fuochi.

Alcuni suoi amici ricordano ancora oggi di quanto corresse veloce. Uno dei ragazzetti più veloci di Modugno. C'è chi dice di non averlo mai visto camminare, solo correre. E prometteva pure bene.

Ecco, tanti modugnesi raccontano dell'esplosione del 1959 . Mio padre era tra quelli.]

Alla triste conta fanno dieci morti oggi, sette quella volta.

Le notizie:

  • Il 24 luglio 2015, intorno alle 12.30, esplode nella campagna modugnese la fabbrica di fuochi pirotecnici ‘Bruscella Fireworks’, causando la morte di dieci persone. L’azienda, fondata nel 1890, fu completamente distrutta in un disastro analogo nel 1959. Ricostruita, ha illustrato la città di Modugno, crescendo nel tempo fino a divenire, nel settore, un’eccellenza riconosciuta all’estero e pluripremiata in Italia.
  • Mio padre, Sacco Emanuele, è scomparso lo scorso 8 aprile in circostanze tragiche. Prima che ad altri, ancora non saprei dire a me stesso come sia morto mio padre. Fu campione di corsa campestre e operaio OM. Mondi di cui quasi non resta più traccia.

funghi patogeni

Tutta la mia artiglieria pesante

Fu così

che misi quella sua giacca blu. per le serate più fresche che vennero dopo l’otto aprile.

per cartucciera il suo borsello a tracolla.

la sua graziella come veicolo tattico leggero.

acquattata nelle mie fondine una forza inimmaginabile.

e scesi nella via. flagello contro tutta la mia pigrizia.

in assenza di gravità, sgovernato per qualcuno, mi ostinai a meritarmi il suo supplizio.

finii il lavoro.

poi infilai le sue ciabatte e me ne stetti un poco in casa. senza troppo riposare però. con tutto un dolore ottuso a ripassarti. a essiccarti.

minimi sistemi

La zolla /2

Lasciavelo lavorare

Così, nella torpida contrada, il ladro chiese coram populo che si smettesse di parlare dei furti in appartamento. Tutto quel berciare gli impediva di concentrarsi sul futuro programma del su’ lavoro. E ancora una volta nessuno s’allarmò. Nell’idea di città c’era il viver bene tra gli appartamenti a soqquadro.

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