Archivi per il mese di Novembre, 2010

le torsioni dell'anaconda, letteraria

Io canto /2

Come fu che la divina, Beatrice Blasonai, addivenne alle pagine del Sacco.

Lo spiega lei stessa al mio amichetto immaginario al tempo in cui questi fu ratto in ispirito in lei medesima:

‘O anima cortese mantovana, / di cui la fama ancor nel mondo dura, / e durerà quanto il mondo lontana, / l’amico mio e non de la ventura, / ne la diserta piaggia è impedito / sì nel cammin, che volt’è per paura; / e temo che non sia già sì smarrito, / ch’io mi sia tardi al soccorso levata, / per quel ch’i’ ho di lui nel ciel udito. / Or movi, e con la tua parola ornata / e con ciò ch’ha mestieri al suo campare, / l’aiuta sì ch’i’ ne sia consolata. / I’ son Beatrice che ti faccio andare; / vegno del loco ove tornar disio; / amor mi mosse, che mi fa parlare.

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Si può dire neoneorealismo?

Se il neorealismo cinematografico italiano traeva ispirazione dalle macerie fisiche e morali di un paese prostrato dalla guerra, se succhiava forza propulsiva dalle difficoltà quotidiane derivanti dalla necessità di ripartire da zero in una cornice di tirannica miseria, si deve allora ammettere che il film La nostra vita (2010) di Daniele Luchetti aderisce pienamente e felicemente, cambiati solo pochi fattori, a un genere che mai fu scuola né statuto, che seppe sottrarsi a tentazioni teoriche e che in virtù forse di queste caratteristiche rese grande, anzi sommo, il cinema italiano nel mondo. C’è chi su questo obietta, ritenendo impossibile il rinnovarsi oggi di quella esperienza neorealista perché definitivamente chiusa col superamento delle sventure dell’epoca in favore di una società ricostruita e annessa al benessere occidentale. È vero: allora accadde che si riuscì a raccontare la Grande Storia, appena passata con tutto il suo carico inaudito di boria e violenza e buio, attraverso la cronaca minuta di sciagurate esistenze alle prese con le loro povere cose (poveri mestieri, povere scarpe, molti stracci) e con i loro espedienti, a volte ingenui altre astuti altre ancora geniali; ed è anche vero che per sostenere un confronto come quello che qui istituisco devo passare attraverso le forche caudine di una dura prova: dover dimostrare che il film qui preso in esame condivida col neorealismo del dopoguerra un requisito fondamentale: la dimensione epocale in cui le vicende narrate andrebbero ad inscriversi. Ci provo.

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letteraria

Due allievi crudi in compagnia di

Peter Genito, campano di origine e piemontese per caso, trapiantato a viva forza nella campagna toscana dove vive solingo nella casa di Ponte agli Stolli, professa un solo battesimo: quello nel dio dell’amore e nella forza dei versi. Erotopaegnia, scherzi d’amore è una raccolta dei suoi.

Ma con l’amore si scherza?

L’amore è l’arte sublime del non prendersi mai sul serio.

Quindi l’amore pervade ogni aspetto della vita?

Sì.

Quindi la vita?

Beh, sì, mia nonna Colarusso Antonia, detta Nannina, mi diceva quando da bambino piangevo: “La vita è ‘a mmanica ‘e giravita”. È un nonsenso tutto campano, viene da una donna che ho amato moltissimo, che racchiude tutto l’assurdo della nostra esistenza e che le mie poesie cercano di descrivere e di scongiurare.

Ti spaventa l’assurdo?

No ma sento di scongiurare perché l’assurdo è l’assenza di amore e la mia poesia intende supplire a questa mancanza parlando al cuore e allo stomaco.

In proposito potresti citare dei tuoi versi?

Da Come dalla gola “calcoli generi numeri / innumeri ingeneri rabbia / vendetta in me / che amo vivo soffro / senza numeri / senza freni / senza semi i mandaranci non li amo / senza remi la barca non va”.

Come definiresti la tua poesia?

Con due aggettivi: rancorosa e parenetica.

Prego?

Esortativa.

Verso chi?

Verso chi l’ascolta, non certo verso l’autore. Il mio riferimento letterario è Edoardo Sanguineti. Vorrei saper giocare come lui con la lingua. Cerco di sorprendere il mio lettore giocandogli in contropiede con le parole e con i suoni.

Ma alla poesia degli effetti speciali, se fosse solo quello, non mancherebbe decisamente qualcosa per arrivare al cuore e allo stomaco?

Da sempre la poesia è musica che origina e scaturisce dalla vita ma che se ne distacca allegramente. Ho smesso di credere da vent’anni alla poesia impegnata.

Peter, tu sei profondamente cattolico, vero?

L’avverbio giusto è “radicalmente”.

Lo sei sempre stato?*

* Un codicillo imprescindibile delle interviste condotte da Nicola Sacco prevede che queste debbano concludersi rigorosamente con una domanda dell’intervistatore, ovveromente con una risposta lasciata in sospeso.

diario di un giullare timido

Fioretto quiz

stando alla lezione francescana dovrei forse svolgere qualche orazioncella, alla porziuncola degli affaracci miei, mistico e sensuale (va da sé), per ch’io sia degno di quell’ismisurato tesoro della santissima povertà?

letteraria

Vade(retro)mecum

Ci si diverte molto a leggere questa che finisce per essere una vera e propria riflessione sulle cose della letteratura. Non offre certo la ricetta per scrivere il best seller, anzi, s’indovina la risata liberatoria dell’autore mentre dissacra ogni teoria letteraria, smonta qualunque decalogo, infrange tabù, fulmina le pose d’autore.

http://www.ibs.it/code/9788842091004/ricci-luca/come-scrivere-best.html

le torsioni dell'anaconda, letteraria

Minchia!

Scrive Beatrice Blasonai su Nuovi Tegumenti: “Gli scritti del Sacco sono invisi alla sinistra perché le sue escursioni nel mondo dei reietti e delle bassezze umane non indicano riscatti, nemmeno sotto forma di lapsus; nondimeno l’autore può piacere alla destra data la sua ostinazione ad imbastire le trame del Male senza ricorrere ad alcuna maschera. L’Anaconda non può che essere abominata anche in epoca postideologica, come quella che si prepara: troppo radicale la funzione espressiva adoperata dal Nostro!”.

le torsioni dell'anaconda, letteraria

Io Canto /1

Per aver combinato una melmetta mefitica da cui non ci si districa, in cui si rimane invischiati, avvinti, prigionieri, costretti a stare bassi, risucchiati, disperati, a confrontarsi quandoché a impastarsi con quel che si chiama il Male (motivo per cui ebbi a discettare di livellamento spirituale verso il basso, cognazione d’affetti coi via di testa, pensiero e dedica continua ai perduti):

Ed una lupa, che di tutte brame / sembiava carca ne la sua magrezza, / e molte genti fé già viver grame, / questa mi porse tanto di gravezza / con la paura ch’uscia di sua vista, / ch’io perdei la speranza dell’altezza.

[...]

Vedi la bestia per cu’io mi volsi: / aiutami da lei, famoso saggio, / ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi.

Anaconda fu Lupa.

Per aver perseverato nella pleplea fino a spingermi ai bordi della grande voragine, laddove gironzola spaesato qualche morto mattocchio che qualcuno non ha ancora seppellito, mi figuro adesso il mio amichetto immaginario che mi consiglia per il meglio:

Ond’io per lo tuo mè penso e discerno / che tu mi segui, e io sarò tua guida, / e trarrotti di qui per luogo etterno, / ov’udirai le disperate strida, / vedrai li antichi spiriti dolenti, / che la seconda morte ciascun grida;

diario di un giullare timido, letteraria

sbisciolame

mi chiedo se non sono diventato alle volte il cliché dello scrittore squattrinato con l’assillo dell’affitto da pagare, una discreta riserva di rancore destinato ai lettori, e due parole sempre a portata di mano per deplorare il sistema culturale. senza dimenticare il non trascurabile dettaglio del capolavoro certamente pronto per essere dato alle stampe che tuttavia giace ancora inerte tra le altre sue cartule, misconosciuto, esanime, prossimo alle prescrizione come un verbale di multa mai notificato.

essì che protervo come sono non credo né alla scadenza né alla natura sanzionatoria (di eventuali trasgressioni) della mia opera, connotati a causa dei quali sarebbe già bollata come effimera o velleitaria, e l’autore segnalato come il più pernicioso degli appartenenti alla schiatta dei moralisti, numerario alla conventicola dei soloni sempre pronti a fornire plantari correttivi non richiesti, organico alla gens dei fanatici depositari nonché esimi illustratori dell’ideale di Giustizia, riuniti in cupola. (a proposito, appartenni all’IDV, mi svilii per bene e ora son più relativista del re).

ecco, a furia di restare relegato nell’autoreferenzialità potrei anche convincermi di essere uno di quella razza lì, però che si sappia: io non ho mai scritto di Michelino, Dàniel, Ninì, Gerardina, Corrado, Vita Maria, Innocenza, etc., pensando di essere migliore di loro. tutt’altro: io mi sono abbassato al loro infimo livello, e lì, impiombato, sto.

letteraria

La pagnotta

Come nelle strutture a catena anche nella successione che qui presento ogni elemento è strettamente legato al precedente, ogni punto è all’origine del successivo. Vi chiedo di smentirmi i nessi:

A) Alfabetizzazione di massa

B) Industrializzazione della cultura

C) Serializzazione della produzione narrativa

D) Letteratura incolore e insapore formattata per le televisioni

E) Crollo della visibilità delle specializzazioni

F) Opinionismo di massa e massificazione dei concetti

G) Brutalizzazione dei codici linguistici

H) Intellettualità ripiegata in un cassetto e nuovo impoverimento intellettuale delle moltitudini

I) Indebolimento della capacità di comprendere i fenomeni complessi e le strutture profonde Countinua a leggere »

Senza categoria

L’amore (s)conta

- Senti, ma sei d’accordo con questo pensiero: “l’amore è l’infinito abbassato al livello dei cani barboncini”?

- Ah, guarda, me lo devi tradurre perché per me è ostrogoto.