Per aver combinato una melmetta mefitica da cui non ci si districa, in cui si rimane invischiati, avvinti, prigionieri, costretti a stare bassi, risucchiati, disperati, a confrontarsi quandoché a impastarsi con quel che si chiama il Male (motivo per cui ebbi a discettare di livellamento spirituale verso il basso, cognazione d’affetti coi via di testa, pensiero e dedica continua ai perduti):

Ed una lupa, che di tutte brame / sembiava carca ne la sua magrezza, / e molte genti fé già viver grame, / questa mi porse tanto di gravezza / con la paura ch’uscia di sua vista, / ch’io perdei la speranza dell’altezza.

[...]

Vedi la bestia per cu’io mi volsi: / aiutami da lei, famoso saggio, / ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi.

Anaconda fu Lupa.

Per aver perseverato nella pleplea fino a spingermi ai bordi della grande voragine, laddove gironzola spaesato qualche morto mattocchio che qualcuno non ha ancora seppellito, mi figuro adesso il mio amichetto immaginario che mi consiglia per il meglio:

Ond’io per lo tuo mè penso e discerno / che tu mi segui, e io sarò tua guida, / e trarrotti di qui per luogo etterno, / ov’udirai le disperate strida, / vedrai li antichi spiriti dolenti, / che la seconda morte ciascun grida;