ogni tanto vige un tantra

L’antistaminico

[Si inaugura con questo 'pezzetto' la rubrica "ogni vige un tantra"]

Merita qualche segnalazione la svolta turboombelicale impressa alla rubrica L’antitaliano, curata su l’Espresso da Roberto Saviano da quando non c’è più Giorgio Bocca. Nell’imperversare della prima persona singolare si scorge un tizio che non fa che guardarsi allo specchio mentre pretende di consegnare al mondo la particolare gravità delle questioni di cui va eroicamente occupandosi. Un’opera che, di Sodoma in Gomorra, di Bellezza in Inferno, di Zero in Zero in Zero, di papierino debenedettiano in monologo catodico, si svolge nel tempo attraverso una prosa patologicamente appiattita sul suo ego. Ah, se non ci fosse Saviano col suo clamoroso IO, chi? chi mai vi sarebbe a squarciare il velo sullo sfacelo criminale del Paese con altrettanta ‘potenza’?

Qualcuno potrebbe sostenere che sia proprio la sua scrittura di Scrittore ad accrescere l’efficacia della denuncia. Orbene, quella scrittura è tutt’altro che impeccabile. Nell’ultimo numero (il n. 28) de l’Espresso, L’antitaliano, addolorandosi per gli “Occhi chiusi sulla Terra dei Fuochi”, s’avanza incerto e il claudicante periodare ‘pallido e assorto’ della penna savianea grida apertamente tutto il suo bisogno di stampelle. La stampella egoica, ormai una protesi, si manifesta in una tempesta di “Prendo atto che il mio ormai è diventato accanimento terapeutico”, “Mi ostino a pensare, mi ostino a sperare – e lo faccio scrivendo – che […]“, “Mi ostino a farlo […]“, “[…] la domanda che mi pongo continuamente […]“, “Ma il mio – lo comprendo sin troppo bene – è accanimento terapeutico e forse, scusandomi in anticipo con le centinaia di migliaia di persone che non hanno voce, dovrei rassegnarmi.”. La stampella ’statistica’, invece - con ampio ricorso agli ‘aiutini’ forniti da Istituto Superiore della Sanità, fattori di rischio, esposizione a inquinanti ambientali, registro tumori, tasso ricoveri, indici di mortalità, nessi causali - lascia che la prosa di Saviano s’aumenti di tecniche tipicamente diciauliane. I supporti, per così dire, dopanti, sovrabbondano, ma la sintassi, tuttavia, non ne beneficia e si devono leggere costruzioni di questo tipo: “Sulla Terra dei fuochi il governo continua ciecamente (?) a minimizzare e gli organi di stampa sembrano interessati quasi esclusivamente a cavalcare la polemica. Chi twitta cosa, chi è contro, chi è a favore (?). Come se ciascuno lavorasse per sé (?)“. E ancora, amenità tipo “sospetto rischio”, “Questi dati richiedono una presa di responsabilità e un’azione immediata.”

La lingua italiana come rifiuto tossico che Saviano, allergico, sta provvedendo a intombare. Gli hanno dato L’antitaliano. Giustamente e cinicamente. Fossero stati più magnanimi con lui, gli avrebbero dato L’antistaminico.

minimi sistemi

La mia sconcertante difesa di Silvio Berlusconi

VS. Saviano, l’ego della bilancia

Anche se non rileva, io provo sovrabbondante schifo per le parole dello scrittore Roberto Saviano a proposito di Silvio Berlusconi, messe in fila in quest’articolo apparso su La Repubblica del 18/01/2013.

Non che un intellettuale del suo prestigio debba per forza portarsi da terzista equidistante o da convinto astensionista o da fustigatore di questi e quelli o da pericoloso demagogo grillino. Mancherebbe. Però l’esposizione di idee così chiare su dove si collochi e chi incarni “la più logora e stantia delle proposte politiche”, lasciando intendere che vi siano un’alterità culturale e un’alternativa politica maggiormente degne dell’attenzione dell’elettore (cioè, in soldoni, meritevoli, al fine, del suo voto), fa pensare che lui, Saviano, lo scrittore, lo scrittore civile, quello contro tutte le mafie - contro tutte tranne una, beninteso, quella del gruppo editoriale che ospita le sue articolesse dai titoli sempre più papavoitiua (Lasciate tranquilli i bambini di Scampia, Lasciate che i gay adottino i bambini, e via evangelizzando)-, l’intellettuale che secondo alcuni si profilava come erede di Pasolini, ebbene fa pensare che Saviano debba essere scivolato nel più pericoloso degli ozii, per uno che si propone al grande pubblico col suo status e con la sua storia: deve cioè aver smesso di studiare, analizzare, approfondire. Peggio, deve essersi schierato, facendolo però nel peggiore dei modi, senza schivare il più letale dei mali per uno così: fodere e federe e spessi panneggi di bresaola sugli occhi, tappi di mozzarella di bufala negli orecchi, parmigiana partigiana e ribollita nella bocca.

Allora, anche se non rileva che mi sono scassato il cazzo, ma siccome mi sono scassato un po’ il cazzo, anche alla luce del mai troppo dibattuto caso del Monte dei Paschi di Siena, nauseato dalla mai sufficiente nausea che da quel porcaio deve discendere, intollerante verso lo strisciante giustificazionismo che attraversa mezza società italiana quando viene tirato in ballo il peggiore dei partiti possibili (detto chiaramente: il pd), voglio dire un po’ di cosette altre.

  1. Silvio Berlusconi non è il più indecente degli uomini politici di questo paese, così come non lo è la sua forza politica.
  2. Il concetto “ancora lui, basta” espresso in modalità Saviano, cioè, come lui vorrebbe, all’unanimità, è l’ennesimo orrore (o scempiaggine) totalitario/a.
  3. Non manifesterò mai (mai più) la minima forma di rigetto verso il solo Berlusconi.
  4. La verità è l’ultimo dei problemi anche per i suoi sedicenti avversari.
  5. Il cavaliere non è il solo a mettere su sipari, sceneggiati, battutine, fesserie. E comunque non è in alcun modo il più penoso. Allo stesso modo non è l’unico nel cadere in luoghi comuni e in storielle fasulle. Vero è, invece, che su queste ultime è stato smascherato mentre dovrebbe inquietare alquanto che su altre storielle fasulle né BersaniVendolaMontiIngroia né, sopra tutti, il presidente della repubblica Giorgio Napolitano, riescano a essere smascherati nonostante siano stati numerose volte sul punto di esserlo.
  6. Non mi sento affatto un idiota se ritengo Berlusconi, in qualità di buffone migliore di altri, appunto, migliore di altri. Immaginarsi la minchionaggine di chi gareggia sul suo stesso terreno, perdendoci “tempo, acqua e sapone” e ne viene sistematicamente sconfitto.
  7. Lui. Non ci ha ridotti sul lastrico. Lo ha fatto, semmai, qualcun altro. Non lui.
  8. Altri, molti altri, tutti, come lui, hanno “candidato chiunque”.
  9. Se nessuno deve prestarsi a fare da spalla a Silvio Berlusconi, impedendogli così di “montare e smontare sipari”, nessuno allora deve prestarsi a fare altrettanto coi personaggi citati nel punto n. 5.
  10. Sta’ a vedere ora che solo Berlusconi dileggia chi gli sta di fronte. È l’unico che “quando sente l’odore del sangue dei suoi avversari, attacca”?
  11. Screditato sul piano nazionale, internazionale, politico e personale. Ok, anche ad ammettere che ha avuto ciò che si meritava trovo comunque SPAVENTOSO che il medesimo disdoro non abbiano conosciuto i personaggi del punto n.5.
  12. Oltre ai processi pendenti “del povero Silvio” riguardanti le sue aziende e le sue abitudini private, vogliamo una volta per tutte lanciare un grande dibattito nazionale su quei fenomeni raffinatissimi e collaudatissimi, ma non per questo meno gravi, di corruzione, concussione, malversazione, malcostume, clientelismo, bancarotte, associazioni per delinquere, etc., dai quali è interessato pressoché tutto il sedicente centrosinistra in ogni sua formulazione, in ogni sua articolazione territoriale, con i relativi annessi, inevitabili, famigerati “problemi con la giustizia”?
  13. La fame di onnipresenza televisiva. Per mesi ho avuto conati di vomito davanti alla televisione. I mesi della campagna elettorale per le primarie del pd (oh, quale abominio gli studi di X-Factor e le musiche!), dello svolgimento delle primarie, e del dibattito nato a seguito dell’esito delle primarie … poi, è colpa del Berlusca pure se non si è in grado di cronoprogrammare lo sventolìo dei carichi da undici, se non si hanno i tempi comici e se, più in generale, ognuno ha il talento che ha? … e torniamo sempre lì. Alla minchionaggine del p. 6.
  14. Chiunque può verificare l’infondatezza e l’ipocrisia del ritenere che Berlusconi abbia reso questo paese più povero, più povero di infrastrutture, di risorse, di speranza, rendendolo “invivibile”. Da che ho memoria, se proprio vogliamo ragionare a spanne, questo è sempre stato un paese fottuto (mafia, DC, terrorismo, CAF, di nuovo mafia, mattanza di Palermo, camorra, mattanza con gli scissionisti, Falcone e Borsellino, Tangentopoli, il governo Amato e la manovra lacrime e sangue, la stagione stragista, etc.) anzi, a ben guardare, da quando c’è Berlusconi, dal 1994 in poi, non è che ne abbiamo viste di ogni, e brutali e sanguinarie, come prima del ‘94. La storia lo dirà.
  15. Lasciamolo parlare ma senza prestargli attenzione. A parte il fatto che se c’è stato un tempo in cui gli avete prestato attenzione allora avete voi avuto seri problemi, i soliti, a capirci un cazzo, la domanda è quella risaputa e ormai noiosa: quindi che facciamo? Prestiamo attenzione ai personaggi del p.5?

minimi sistemi

Quando il sindaco ci lava l’onta

Davvero non si capisce di cosa debba chiedere scusa lo Stato italiano al Comune di Modugno. È vero, Saviano ha citato Modugno tra i numerosi comuni italiani che hanno conosciuto la sventura dello scioglimento del Consiglio Comunale per infiltrazioni mafiose. E con ciò? Dove sarebbe l’errore che il sindaco della città in questione si affretta – nell’ennesima, scomposta reazione - a segnalare ai giornalisti, senza peraltro individuarlo? Pare mica una notizia falsa. Tutt’altro. È semplicemente e chiaramente una notizia corretta, offerta come spesso si chiede che vengano offerte le notizie giornalistiche, nella sua nuda e semplice verità, senza corollari e commenti e filtri di alcun genere. Invece il sindaco di Modugno vibra di sdegno, digrigna i denti e mette su la grinta feroce: esige le scuse. E non una, bensì due volte, per un presunto doppio errore. Ma così parlando, si vien colti dal dubbio che sia proprio egli sindaco a chiedere di sorvolare sul fatto nella sua povera nudità per passare senz’altro al commento, all’interpretazione, all’opinione, quando non alla chiacchiera morta, al pettegolezzo, a quella, cioè, che si suole chiamare ‘fuffa’, ‘aria fritta’ , ‘paccottiglia’. Il Comune di Modugno fu sciolto “per fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso”, con decreto dell’allora Ministro degli Interni Mancino, firmato dal Presidente della Repubblica, e attuato dal prefetto di Bari. Bon e morta lì. Sindaco, se ne faccia una ragione e si legga magari anche le motivazioni, le quali, tra le altre cose, non sono affatto così prive di fondamento come pretende di far credere con le sue dichiarazioni ai giornali. “Frettoloso” è uno dei suoi giudizi, e però non tutti sono così “frettolosi” nel leggere le carte. Leggere, leggere. Leggetene tutti, qui. E non si erga, per favore, a interprete del sentimento dell’intera comunità, se mai ne esiste uno. Molti di noi modugnesi non hanno bisogno della sua difesa d’ufficio a petto dei presunti torti che ci farebbe lo Stato, tuttavia ci piacerebbe essere difesi dallo Stato per far fronte a “pressioni”, “intimidazioni” e “violenze” di natura mafiosa, qualora queste abbiano a verificarsi, esattamente come ebbero a verificarsi in un passato non poi così remoto.

altri spot, minimi sistemi

squadri da ogni lato

lo scopro guardando l’infedele

e a me roberto saviano che arringa la folla del palasharp con queste parole “è arrivato il momento di dire ciò che siamo e ciò che vogliamo” mi manda ai matti, c’è niente da fare.

prendere MONTALE e utilizzarlo a proprio comodo, ribaltando il senso di quei versi inequivocabili e già inflazionati, prima che risultare una faciloneria più afflittiva di uno sloganino veltroniano, mi pare proprio strizzatina d’occhio al pubblico delle più viete. contiene, lo slogan, una somma slealtà verso quelle parole scritte dal Poeta apposta per significare l’opposto di quanto che lo scrittor incerto sfacciatamente recita dal suo trabiccolo amplificato. le cancella impunemente, quelle parole e nel compiere questa precisa operazione brutalizza l’enormità filosofico-letteraria che in Non chiederci la parola meravigliosamente precipita.

e non è da credersi che dopo gli sfondoni su Sciascia e i professionisti dell’antimafia sia nuovamente inciampato.

anzi, se tanto mi dà tanto, saviano si propone come Vate.

se se ne va su questa china, così come lo sloganista slogato veltroni è solo un morto (politicamente) che non ha pace perché non ha ancora ottenuto degna sepoltura, lui come scrittore ci finisce allo stesso modo. e non solo come scrittore ma anche come giornalista.

letteraria

ciò che non siamo e non vogliamo

la coincidenza tra biografia e opera, dunque, non è un’ideologia ma una deduzione, una decifrazione tratta dalla realtà rimescolata in pagina. quanto è scritto non può non contenere tracce del sé scrivente; lo scrittore insuffla la vita nei personaggi, certo è indispensabile, ma se non ci mette la generosità, cioè se nella storia non ci sbatte se stesso, e se evita di farlo allo scopo di magnificarsi ma anzi lascia intendere o, meglio ancora, mostra del tutto la propria sgradevolezza, ha fatto cosa sacrosanta. quindi saviano non va bene, non è uno scrittore, non un facitore di letteratura.

altri spot, diario di un giullare timido, festa della mamma, funghi patogeni, la miglior vendetta, le torsioni dell'anaconda, letteraria, minimi sistemi, riflessioni su due ruote, riquaderni dal carcere

sisifeide

la lingua non si staglia sullo scrimolo per proclamare la sua costernazione abbaiando alla sconcia italia. ci arriva appena, spolmonata e ascetica, sfiancata dalle impervie rampe. slombata la lingua che impara a “morire in bici”. s’acceca e si spaura quando che è al sommo, sicché la vertigine la ributta indietro. ricacciata giù per lo stesso versante appena scalato, tutta rovesciata e rattorta, ellalingua riattacca l’erta del dire le cose, ora anfanando ora cantando, quando imbestiando quando ricamando, ma sempre alla caccia della migliore adesione alla realtà (andata in fuga). non ha il gusto della pesca nel torbido perché non è ruffiana né cialtrona né puttana. la mia lingua. RAVB era cognazione d’affetti coi via di testa. e lo stesso l’Anaconda. sarà per il pessimismo di una visione della vita in salita ma almeno è costretta a ricercare la migliore funzione espressiva dei mondi che sceglie di narrare. ben altro che scrivere per mondadori! nevvero, saviano? nevvero, piccole editrici autodistruttive, fresche fresche del nuovo imperativo di mimesi mondadoriana?
nel momento in cui la lingua raggiunge la vetta sa che ha appena un attimo per gridare la sua invettiva congestionata, che poi non ha più tempo e deve rotolare giù a “svolgere il compito cui è stata chiamata” (direbbe qualcuno).
che fa lo scrittore, ancorché scrittore civile? non affronta l’arte di dire le cose, bensì l’erta di dire le cose.
e scusate se sono nicola sacco

diario di un giullare timido, letteraria

Quando il romanzo lo scrive il film

E a proposito di ‘far decantare le cose’, torno solo ora dalla lettura di Gomorra, dopo aver lasciato che si accumulasse polvere sul libro per ben tre anni. Acquistato alla sua prima uscita e subito deposto in uno scaffale della mia libreria, avrei voluto che sul fondo del caso Saviano si depositassero tutte le distorsioni mediatiche per poi poter sprofondarmi nella lettura del libro finalmente chiarificato ma, ahimè, devo constatare che non è mai stato possibile in tutto questo tempo togliere l’ingombro del film e degli oscar mancati, della scorta, della fatwa dei casalesi, delle polemiche sui giornali, dei nuovi interventi giornalistici di Saviano e del conseguente, rinnovato clamore attorno all’affaire. E poiché sospettavo il libro un po’ troppo schiacciato sul cronachismo, per non perdermi completezza di informazioni a sicuro rischio di obsolescenza, mi son dovuto affrettare a leggerlo. Ma non diversamente da come affronto la lettura quotidiana de la Repubblica: compulsivamente. Nell’ossessione di avere il presente interamente monitorato, dominato e posseduto, e nella penosa illusione che quante più numerose e dettagliate sono le informazioni che dal presente riesci a ricavare tanto più accresciuta, puntuale, agguerrita e centrata sarà la capacità di scavo della tua lingua al cospetto della realtà. Il tutto secondo una logica però malata, che ottiene l’effetto opposto: ti porta pian piano lontano dai libri ma sempre più addosso ai quotidiani, ai settimanali, alle notizie on-line. Ecco, Gomorra l’ho letto con questo personale spirito di stare andando lontano dai libri e più vicino, anzi sempre più dentro la mia personale coazione a ripetere l’inutile lettura di articoli, critiche, recensioni della cosa. Un demente girare attorno alla cosa a scapito della discesa, dello smarrimento NELLA cosa.

Aggiungo però, a lettura ultimata, che Saviano ha scritto un libro di grande valore e che tale valore vada inscritto in qualche branca delle discipline intellettuali ma non certo nella Letteratura, ambito nel quale mi sembrava claudicasse.

E poi di Gomorra: Saviano ha scritto il libro ma il romanzo l’ha scritto il film. Li si pongano a confronto e, a parte l’ovvia considerazione che senza il libro non ci sarebbe il film, mi si dica in quale dei due mezzi espressivi si rintracciano i segni di una grande narrazione.

altri spot, diario di un giullare timido

L’altra faccia dei miei sodali

Nel 2007 ho frequentato una scuola di sceneggiatura a Napoli, in piazza del Gesù. Organizzata bene, tra i docenti c’erano registi e sceneggiatori come Paolo Sorrentino, Antonio Capuano, Heidrun Schleef, Stefano Incerti, Giorgio Arlorio; produttori come Nicola Giuliano e Angelo Curti.

Tra i corsisti si formarono spontaneamente delle coppie di scrittori che avrebbero dovuto dare un saggio di sceneggiatura alla fine del percorso formativo. Io non ero in una coppia bensì in un trio, con tali Luca Liguori e Maurizio Palmieri. Inutile precisare che avevamo ben più alte ambizioni che mettere insieme un semplice saggio di fine corso. Tirammo fuori due soggetti, entrambi a uno stadio avanzato di sceneggiatura. Per farlo ci procurammo una sorta di buen retiro sino a Procida, una casetta con veranda dove sfornare le nostre idee in tutta tranquillità e senza distrazioni di sorta. Il febbraio 2007, per chi se lo ricorda, era caldissimo. Scrivevamo in veranda, cucinavamo pesce fresco di paranza andando a procacciarcelo direttamente dai barcaioli che rientravano nel porticciolo. Maurizio era dotato di un’ispirazione straripante e io e Luca dovevamo spesso limitarci a disciplinare o organizzare le sue idee a getto continuo.

Tra fortune alterne nel giudizio dei nostri insegnanti la scuola finì a maggio. Dopo il diploma ci diedero appuntamento al secondo livello, master che si teneva a Roma e al quale, per motivi di ordine economico e lavorativo, non potetti prender parte. Maurizio e Luca hanno proseguito e i nostri contatti si sono inevitabilmente rarefatti.

Maurizio Palmieri (come sceneggiatore) e Luca Liguori (come regista) sono, oggi, arrivati a Hollywood. Decretato vincitore il loro cortometraggio in un concorso a Capri, dopo aver ricevuto il primo premio dalle mani di Michael Redford e Mike Figgis, sono stati spediti ad Hollywood per la proiezione della loro La raccolta differenziata nella rassegna W Napoli, l’altra faccia di Gomorra.

Per me questa è stata una notizia pazzesca. Pazzesco è apprendere oggi che a un certo punto della mia vita ero lì, magari a quei livelli lì, senza saperlo. Pazzescamente sottile è la linea che divide la tua vita normale, fatta della consapevolezza di dover lavorare sodo, da … Hollywood. E comunque pazzesco è il fatto che oggi due miei amici siano arrivati fino a lì. Con tutto quello che comporta. Credo non poco. E tutto questo è, per diverse vie, una grande fonte di felicità per me.

Stiamo parlando non solo dell’altra faccia di Gomorra ma direi anche dell’altra faccia della raccolta differenziata. Laddove non arriva l’educazione civica ci arriva una maschera della commedia dell’arte (di arrangiarsi). Non le sirene ecologiste, non i tromboni delle tematiche ambientali, riusciranno mai a ficcare nelle teste di certe famiglie (molte) la necessità della r.d. bensì l’espediente, il raggiro, il paraculo. Ma l’altra faccia del raggiro a Napoli è la creatività, anche una certa perizia artistica, l’originalità, la recita, il teatrino, la tarantella: tutti fattori indispensabili affinché l’inganno riesca. Al finale, di una innocua presa per il culo resteranno i sacchetti della differenziata. Converrà usarli.