Si dovrebbe ormai fare la politica che non si sa, tentando su due piedi un bandolo, ritrovando un io che stabilisca un capo e una coda, un individualismo, avete capito bene!, ovviamente di segno opposto a quello in voga di ’sti tempi (il quale è, a ben vedere, millantato individualismo, peggio!, strumento della spoliazione dell’io). Bisognerebbe ripartire proprio dal dire io creo e quindi io esisto (banalizzando: prendere coscienza di non essere dei vermicioni col sondino nasogastrico somministrato a capriccio dal maschio di stato o dalla picciocca ministeriale), in aperto conflitto con i bercianti filastrocche funebri, possessori di tutto che null’altro hanno da chiedere se non mantenere quel tutto per specchiarvisi, scaricando questa pulsione di morte, in cui consiste il loro mancato volgersi al futuro, sul resto della congerie umana per continuare a meglio depauperarla di beni materiali e immateriali. Questo ci vorrebbe, un nuovo e bellissimo individualismo che conosca prima di tutto la bellezza dell’autosmascheramento fino all’utodenuncia, fatta su pubblica piazza, della propria meschinità, cioè dell’abominio che chiamiamo Uomo. Bonificarsi dalla schizofrenia tra ideologia/catechesi professata e vita vera del sangue. Provare a officiare questa specie di messa purgatoriale, facendo allo stesso tempo il ministro di io e la sua pecorella, e alla luce del sole, non all’ombra di “materni confessionali”.

Dopo, solo dopo, cominciare a masticare l’ostia: non andare a carretta dei messaggi di salvezza, non farsi vicari del mito della purezza, non ancillari ad alcun vecchio potere, non portavoce di alcuno nuovo in via di solidificazione già oggi.