L’ultima volta che mi scappò non mi riuscì di riprenderlo con me. Sapevo dove trovarlo ma quando lo raggiunsi lui mi disse che non sarebbe più venuto a stare da me. Non era arrabbiato con me. Era solo che riteneva giunto il momento di andare sulle sue gambe. Camminare sopra i suoi stecchi, dalle tenebre alla luce.

Gli chiesi se c’era ancora un’ultima cosa che potevo fare per lui.

«Tipo?»

«Non so. Devi dirmelo tu. Mi puoi chiedere qualcosa che può servirti nella vita. Qualcosa di utile.»

«Non credo che potresti aiutarmi.»

«Proviamo.»

«Vorrei un asino.»

«Ah?!»

«Hai visto che non mi puoi aiutare?»

«Ma che te ne fai di un asino?»

«Tu non ti preoccupare. Me la vedo io di che cosa me ne devo fare di un asino.»

«Sei proprio sicuro che non ci sia qualcos’altro che possa esserti più utile nella vita?»

«Senti, io tanto tempo fa vivevo con mamma in un organetto, se non lo sai. Può sembrare che non c’entra ma adesso voglio un asino, tutto mio, tutto per me, voglio farne la mia casa.»

Un pastore lo conoscevo. Figurarsi se non conosce pastori una come me, amante della campagna, di tutti i frutti del ventre della terra, delle fave, delle cicorielle, dei cardi selvatici… Meh, insomma alla fine l’asino l’ho trovato, sono andata a prenderlo dalla stalla di una masseria, l’ho pagato una fesseria perché Petruccio tanto non sapeva che farsene più. L’ho montato e mi sono fatta a dorso di mulo tutto il percorso al contrario. Ci ho messo cinque ore ma alla fine sono entrata in città, mi sono immaginata addirittura che potessero accogliermi con le palme benedette e invece ho attraversato un po’ di quartieri tra le occhiate incredule della gente e delgi automobilisti.

Finalmente l’ho visto, e anche lui non credeva ai suoi occhi. Quegli occhi che gli sono presto strabordati di gioia oltre le lenti da sole che portava senza separasene mai. Ha pianto proprio come un ciucciariello, e ho pianto anch’io. Dio solo sa quanto ho pianto.

Tra le lacrime ci siamo salutati.

O meglio, ci siamo detti addio.