Ho visto una bellissima puntata di Report, dove, riguardo alla TAV, ho, una volta di più, avuto conferma della metamorfosi di cui parlavo nello scorso post del 24 maggio. Il comunista Piero Fassino, ora sindaco di Torino per conto di un partito diversamente comunista, si produceva in ogni sorta di giustificazione a favore della realizzazione della Milano-Lione, argomentando invariabilmente CONTRO tutti i punti di vista, le analisi e le posizioni che mettevano e mettono a tutt’oggi in discussione l’opportunità dell’opera. Tecnicamente, un invasato.

Ora io non so se la TAV è cosa giusta o sbagliata, non sono insensibile al fascino delle grandi infrastrutture intese come grandi opere dell’uomo che finiscono per creare dal nulla una grande utilità segnando davvero un momento di Progresso, e altresì non comprendo come un progetto pur ambizioso possa bypassare – oddio, finalmente riesco a usare questo neoverbo - il problema di sventrare una montagna tormentandola lungo infiniti sessanta chilometri. Tuttavia il comunista Fassino non aveva alcun dubbio, e con una protervia che manco gli ricordavo, liquidava il Portogallo di là, la corte dei conti francese di qua, e via sprezzando. Mai che ci fosse un’obiezione degna di essere presa in considerazione. Finiva col dare l’impressione di uno che, avendo la sua squadra (o il suo partito, o la sua corrente, o il suo gruppo di potere) preso una posizione, dovesse tenervi ostinatamente fede rinunciando a pensare con la propria testa. Naturalmente io ho una propensione a ravvisare la modalità gruppo di potere, ma questo non ridimensiona di un decimale la repulsione che provo nei confronti del collettivismo, scorgendo nel gruppo di potere una forma contratta del collettivismo, degenerazione cui ogni collettivismo mi appare inevitabilmente votato.

Sempre per portare avanti il discorso del post precedente, non diversità morale dei comunisti bensì il comunismo come sogno di potere diversamente tortuoso.