Ne aveva consumato, Seba, di inchiostro a ricostruire tutto il sistema di potere del Cav. Sblendorio, sistema che nel frattempo s’era enormemente esteso e non se ne vedevano i confini: era partito con un furgone carico a mastelle, flessibili e distanziometri, glielo avevano rubato, lo aveva recuperato e da quel momento, momento di svolta nella sua vita, come ‘rivelato’ del suo potenziale, capace di condizionare anche le dinamiche della malavita locale, aveva cominciato una crescita inarrestabile. Come per capriccio, stufo di guardare quell’unica concrezione di cemento che era diventata la città ad opera sua, aveva diversificato i suoi interessi: in politica spadroneggiava con Città Dinamica e un’abilità diabolica di portare tutti dalla sua parte nel nome di governi di salute pubblica – perbacco! –, esperienze istituzionali che dovevano valere nientemeno che come laboratorio ricco di indicazioni per il futuro politico dell’intera nazione. Il trasformismo? Non era mica il sintomo di una corruzione etica o morale, no. A ben vedere era invece il trionfo della libertà e l’affrancamento da ogni genere di pregiudizio. Una classe politica finalmente matura, insomma. Però Felice Sblendorio nel frattempo badava più che altro al proprio interesse: entrava nel consiglio d’amministrazione del credito agricolo, diventava presidente della pro-loco e della real squadra calcistica locale, e continuava a tirare le fila della politica urbanistica attraverso la postazione tanto defilata quanto privilegiata della delega ai servizi cimiteriali. Non c’era nessuna ragione per la quale, nell’imminente chiamata alle urne per il rinnovamento del consiglio comunale, Città Dinamica avesse da temere cambiamenti d’umore nell’elettorato.

Ma se stava a Seba di giudicare il bilancio dell’amministrazione cosa aveva da elencare tra le scelte compiute? Veleni scaricati sul paese per un verso e tanta inettitudine per l’altro. E a parte l’ampliamento del camposanto con lottizzazioni a conduzione familiare, davvero niente altro.

S’era sgolato e buttato via in anni di ciclostilati e di Cavalletti, e quelli che avevano fatto? Avevano imparato ad ignorarlo. Li si potevano vedere al mattino tutti quanti in crocchio, in riverente attesa davanti al portone dell’abitazione di Felice Sblendorio: il geometra comunale, l’ingegnere del novanta per cento dei cantieri in città, il capogruppo in consiglio comunale di Città Dinamica, l’avvocato dritto e lungo e un altro consigliere comunale barbiere ad interim, l’anziano farmacista e il militante di Fazione e Tradizione coll’occhio pecorino. Inoltre, ogni giorno facce nuove di operai, di manovali in cerca di lavoro, certi della possibilità di ottenerlo proprio da Felice Sblendorio. Che poi per loro, i sudditi, non sarebbe bastata una vita a smettere di ringraziarlo. Tutti ossequienti per i sussidi e per le prebende ottenute. E non appena il divo calava tra loro ecco una formazione compatta marciare alla volta del Café de la Maire, dove si sarebbe fatto a gara per pagare il caffè a sua eccellenza; Felice Sblendorio in testa alla formazione che attraversava piazza del Seggio e tutti gli altri ben attenti a non sopravanzarlo. Anzi, una rigorosa gerarchia coreografica prevedeva anche l’esatto numero di passi indietro che ciascuno dei componenti aveva da mantenere: due passi indietro il capogruppo, tre l’ingegnere, quattro il geometra e via via tutti gli altri.