Al mattino, Seba, il serpentone lo vide formarsi e cominciare a scorrere molto lentamente. Le spalle che portavano la bara con Beatrice dentro, lungo il corteo funebre che avrebbe dovuto depositarla nelle fauci della chiesa del Purgatorio, erano quelle del marito di Beatrice, del figlio, di un paio di nipoti tra i più prestanti, di uno delle pompe funebri che si era dato un gran da fare nel portare, smistare, spostare e allineare cuscini di anturium, crisantemi, rose, gigli, orchidee, sterlizie, agghindati di nastri su cui si potevano leggere i cognomi del parentado, delle famiglie, degli amici, delle famiglie amiche e delle cosche che a quel giorno di lutto volevano partecipare stringendosi attorno ai familiari e avvicinandosi al loro dolore con quei musi floreali. L’ultima spalla, di fianco a quella del ragazzo della INUMANA, era quella del costruttore Felice Sblendorio.

“Che hai fatto per il furgone?”, chiedeva l’inumano a Felice.

“Sono andato a recuperarlo.”

“Ma no.”

“Ma sì, invece.”

Intanto la bara ondeggiava e sobbalzava sulle loro spalle, talvolta anche picchiando gli omeri dolorosamente.

“Tenevo dentro tutto il materiale. Strascedde, mastelle, due flessibili, un distanziometro. Che dovevo fare?”

“Sapevi già a chi andare?”

“Sapevo a chi rivolgermi, sì.”

“E hai ritrovato tutto?”

“Tutto, ci devo rimettere solo qualche danno al furgone.”

“Solo?”

“E ma che ti credi? Quelli volevano essere pagati.”

“Ah, un’estorsione?”

“Come quelle che fate voi.”

Ridacchiarono entrambi.

“Però, se prendo a quello che penso li abbia mandati a rubare il furgone …”

“Sai chi può essere?”

“Ho un sospetto … sul mio ex socio.”

“Beh, se lo prendi che fai?”

“Deve dire grazie che stanno Marisa e Carmela.”

“Sennò che gli fai?”

“Gli zompo la capa.”