Uno sterrato separa la lingua d’asfalto dagli scogli bassi e la spiaggia sembra salire fin sopra alla sede stradale, mischiarsi a questa. Arrivando qui in macchina, fino a cinquanta metri prima, guardando in direzione della spiaggia, sembra di vedere il semaforo piantato nel bagnasciuga, sempre lampeggiante al giallo, presso cui ci sta una kosovara calva e sdentata da cui si possono comprare uova e asparagi. Loro, i kosovari, se li stanno cucinando insieme, uova e asparagi, seduta stante, sul ciglio stradale, con un’incerata come riparo dagli sbuffi d’acqua.


La stanno portando sul molo. Lontano da casa, in una stagione che non è quella balneare. Niente occhi indiscreti. Una passerella di tufi che si inoltra nel mare putrido. Violenti schizzi perché fa freddo e c’è vento. Sono intirizziti, i baveri rialzati e le mani cacciate sotto coltri di lana, ma Vita è libera di respirare qui una libertà che aveva smesso di desiderare. Può inebriarsi di aria fresca e salsedine, esaltarsi nella corsa, mettersi a ballare come una bambina felice, come se per anni le avessero detto che aveva un pericolosissimo male, una brutta sventura nel petto, che doveva stare ferma immobile in un letto pena la morte istantanea e poi, dopo tutto quel tempo fossero arrivate delle scuse: ci siamo sbagliati, lei, signora, sta benissimo e non c’è più alcuna ragione per tenerla qui immobilizzata.

Quattro passettini in avanti e quattro indietro nella luce livida.

Non doveva osare chiedere tanto sforzo a tessuti, muscoli e scheletro indeboliti da anni di inerzia pressoché totale; non doveva fare affidamento sul sostegno di polmoni forse già orrendamente ostruiti, non sul sangue ormai fiacco nelle vene strette, non su una salute che non si sapeva quale stadio di infermità potesse aver raggiunto. Ma s’era ingaggiata in una sua piccola e infervorata danza nella quale volteggiavano pure pensieri in libera uscita.

Ecco quello di cui aveva bisogno: un alleato. Le ci voleva un alleato. Qualcuno che la iniziasse alle grandi verità della vita, con un’oculata gestione di istinti e passioni, un depositario di saggezza. Stregoni del borgo antico non ce n’erano più da un pezzo. Eppure sarebbero serviti, portatori com’erano di quella filosofia dei nati morti secondo la quale si spallavano i bambini. La “spallatura” era una delle prove iniziatiche “prime” della vita. Se nascere voleva dire incamminarsi verso la morte, bene, non si va incontro alla morte dando in ismanie. Quando un bambino piangeva e strillava fino a soffocarsi e non si riusciva a capirne il motivo, dopo ore e ore di tentativi inutili di venirne a capo, quando la creatura era ormai cianotica dal pianto disperato, ci si decideva a portarla dallo stregone del borgo antico. Questi poteva essere uomo o donna, un’età attorno alla settantina e una fissità di corpo piantato sulla seggiola davanti ai sottani. Ricevevano la creatura dalle mani del genitore e se la disponevano di traverso sulle cosce, a pancia in giù. Cominciavano con degli energici massaggi, imposizioni delle mani. Calcavano più che potevano i palmi delle mani sul piccinino. E già qui un profano poteva pensare che gli stavano solo facendo male. Dopodiché lo sollevavano tenendolo dalle ascelline e sembrava volessero offrirlo al pubblico che presenziava al rito. Quindi avvicinavano il corpicino al loro busto, curandosi che la creatura fosse sempre rivolta alla platea, gli passavano tutte le loro braccia vizze sotto le ascelle, come per imbracarlo, e prendevano a spingere col loro torace sulla spalla del bambino. La creatura si inarcava col pettino tutto spinto in fuori e le braccine e le gambine tirate invece indietro. Poteva sembrare una violenza inaudita, che ’sti vecchioni volessero spezzarlo in due, in tre, farlo a brani, stracciarselo e magari poi mangiarselo. Ma nel frattempo il piccinino si andava calmando, fino a chetarsi del tutto, completamente rasserenato. Gli restava negli occhietti curiosi solo un velo di stupore con cui guardarsi attorno e un senso di appagamento, di sazietà che non di rado veniva sancito con un bel ruttino. E come in preda a un risveglio davvero più spirituale che fisico veniva restituito ai genitori che erano stati lì ad assistere a questo numero apparentemente da circo senza mai, minimamente, preoccuparsi. Sicuri dell’arte dello stregone del borgo antico.

Ebbene Vita non era mai stata spallata nella vita. Né da piccina né dopo. Una parvenza di spallatura la ebbe solo a undici anni quando si collassò nelle prime mestruazioni. Neanche il tempo di realizzare di essere finalmente donna e giù la stroncatura della madre. Innocenza, per arginare la curiosità del papà che faceva capolino nel riquadro della porta, si dannava per tenerlo fuori dalla stanza in cui Vita giaceva spossata, respingeva energicamente il suo papà dicendogli “non è niente, s’è azzoppata, è caduta scale scale.”

Ecco, a voler inventariare gli alleati di una vita le sarebbe bastata una dozzina di secondi. Sì e no. Qualche ologramma come Anna dai capelli rossi e il papà. Quel papà che la bagascia morte le aveva borseggiato nel momento in cui sarebbe stato fondamentale averlo vicino. Il fratello poi era stata una delusione, il protagonista dell’amara agnizione di oggi. Un vero e proprio traditore che restava in piedi sullo scoglio del mare a godersi lo spettacolo di lei adagiata in una paranza che andava alla deriva.

In un giorno lontano nel tempo, di scirocco amaro che increspava appena la superficie dell’acqua ma che muoveva poderose correnti sottomarine, c’erano quei due sul materassino. Un giorno che faceva quarantotto gradi e che sul mare non era proprio piacevole, anzi ti si seccava la bocca, ti prosciugavi subito anche dopo aver tirato mezzo litro di acqua fresca dalla canna della bottiglia. Quei due sembravano stare bene, belli ignari e un poco ristorati sopra al materassino. Ma le correnti a poco a poco li avevano sospinti al largo e quando si furono resi conto di essere ormai troppo al lontani dalla riva provarono a mettersi a remare con le braccia. Vogavano forte ma niente, non riuscivano più a riavvicinarsi, anzi, il mare che si andava gonfiando, pur senza rompersi, li cacciava ancora più in fondo. Allora quelli stanchi di mulinare impotenti braccia nell’acqua avevano cominciato a gridare e fare dei segni. Da riva qualcuno li aveva notati ed era corso ad allarmare la guardia costiera. E infine la coppia di ragazzi sul materassino era stata tratta in salvo. Ecco, quello che mancava a Vita era un paio di spiaggianti. Due persone sulla riva che avessero potuto allertare qualcuno. Ma niente. Alleati non ne aveva proprio. Che andasse pure in malora.