Determinazioni e riflessione entro sé dell’essenza artstica

Kubrick - complice il divino Sellers che sul set fa quello che gli pare - scorge in Lolita il motivo della tensione linguistica che si fa ossessione e poi vero e proprio incubo di inappropriabilità, e perciò si mette a tirare allo spasimo, e con ragione da vendere, la figura di Clare Quilty, il drammaturgo che fa impazzire Humbert, la proiezione irraggiungibile del frustrato professore europeo. Tanto che per prevalere su quello, Humbert sarà costretto ad andare per le spicce, di buone rivoltellate, lui seduttore sofistico.

Peter Sellers quasi quasi doveva fare solo un cameo ma conquistandosi la parte a suon di numeri da fuoriclasse, asseconda Kubrick (o se lo trascina, che importa) e il film è nell’opera. Tra i due si forma come una specie di precipitato di genio e … niente più Lolita … niente più scabrosità, né mostri né pedofilia.

Clare Quilty, protagonista assoluto con i suoi travestimenti, la sua trama barocco-espressionista come la sua magione, onnipresente, se getta la maschera dell’istrione ti angoscia nella sua declinazione di uomo senza volto, persecutore diabolicamente ingegnoso non nelle vesti del giustiziere/moralizzatore ma in quelle del talento maggiormente dotato che giustamente pretende la propria affermazione (sulla mediocrità e, inevitabilmente, nello spazio del film), restando giustiziato dalla paranoia. La partita a scacchi, l’enigma, lo specchio, il doppio. Anche se stilemi risaputi e abusati in esercizi interpretativi di ogni risma, Lolita è sempre stato un magistrale approfondimento artistico di questi. La dodicenne è solo il criterio di riduzione a unità delle scissioni che ci tormentano. Il medium.

(fine)