Un romanzo-studio che, magari senza volerlo, spiega col materialismo le disfunzioni del mondo in cui viviamo. L’esito? Prendersi la parola e non delegarla, soprattutto se è alle viste chi la usa per omologare/annientare l’individuo.
Noi siamo pronti a investire. Viviamo quest’epoca. È solo legge di mercato.

Se qualcuno sta cercando l’ideale sequel delle riflessioni di Pasolini sul fascismo – fascismo che, a dispetto delle date ufficiali, prese ad aumentarsi smisuratamente proprio all’indomani della sua caduta, fino a trionfare di un trionfo che perdura – si dedichi alla lettura de La gemella H (pagg. 351, Einaudi, 2014) del quarantasettenne Giorgio Falco. Perché se Pasolini identificava il fascismo nel mostruoso potere omologante generato dall’industrializzazione post-bellica e da una civiltà dei consumi che, installatasi e radicatasi lungo tutta la seconda metà del secolo scorso, ha finito non solo col distruggere i segni delle civiltà precedenti ma anche con l’inibire ipotesi altre di Progresso & Benessere (ipotesi che nella logica del consumo non ponessero dogma), ebbene, è proprio su questa piattaforma che Falco imbastisce la saga degli Hinner-Bergamaschi.

Qui, condotta attraverso la forma romanzo, l’indagine del fenomeno che conosciamo come “rincorsa ai beni di consumo” si fa talmente radicale da chiamare in causa il nazismo, e non più il fascismo; le origini del fenomeno stesso vengono rintracciate agli inizi del secolo, e non più nel secondo dopoguerra.

La storia di tre generazioni della famiglia Hinner è, restando con Pasolini, storia “di persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi beni di consumo”, e lo fanno però già all’epoca del risentimento crucco, laddove il nazismo si annidava e cresceva, dispiegava il suo contagio, dilagava nel popolo, ascendeva e conquistava il potere. La Germania di Hitler.

Continueranno a farlo in Italia (a Merano, a Milano, sulla riviera romagnola), gli Hinner, dove giungono senza pagare dazio alla disfatta del nazionalsocialismo, in virtù di calcolata accumulazione di ricchezza, un bottino che consentirà loro di riavviarsi, come niente fosse rifarsi una vita, rinnovare l’epopea famigliare. Il tutto nella fiducia, alimentata da favorevoli circostanze, che il denaro tutto può: cancellare il passato, fornire validi travestimenti, finanche silenziare, nel foro interiore, l’imbarazzo di una storia vergognosa alle spalle.

“Adesso possiamo dire, sei mesi dopo, un anno dopo, perché esiste un prima, il prima che dobbiamo dimenticare. Tutto avviene dopo la fine.”

Come si fa a dimenticare? Falco lo spiega: “Ci aiuta l’insorgenza di un anomalo disturbo della memoria: il motto collettivo è qualcosa di simile a dimenticate in memoria di me. Le nostre azioni passate svaniscono seppellite dagli stereotipi. Il Grande Male. La Belva Umana. Il Criminale Assoluto. Milioni di morti e siamo ancora qui, pronti a nuovi oggetti, a criteri di comportamento volti alla concupiscenza delle cose. Ridimensionata la visibilità dell’ideologia – ora diluita sotto ogni traccia – resta la volontà di vivere secondo quelle stesse dinamiche totalitarie applicate ai rapporti lavorativi e familiari. Possiamo fare e subire tutto, purché rimaniamo in una sfera economica, finanziaria.”

Insomma, dopo ogni fine si ricomincia, basta immergersi nella spesa, nel consumo, nei grandi magazzini, nella Rinascente “somma potenziale di tutto”, nel turismo, nel turismo di massa, negli stabilimenti balneari, etc.

Rivive l’ On n’échappe pas de la machine di Gilles Deleuze.

Tuttavia chi parla nel romanzo di Giorgio Falco?

La narrazione ruota indubbiamente attorno alle due gemelle, Helga e Hilde, nate nel 1933. La storia sembrerebbe strutturata attorno allo spartiacque del 1945, il momento in cui smette di parlare Hilde e comincia a farlo Helga. Tuttavia anche nella seconda parte del libro Hilde si riprende la parola lasciata a Helga. A parlare è quasi sempre Hilde. Lei, Hilde, è la più consapevole, la più lucida delle due sorelle. E per queste sue qualità, anche la più problematica. Colei che coglie la mostruosità della macchina del “noi” quando a condurla è un tiranno: “Noi, noi, noi, lo spaventapasseri che sorregge le nazioni, gli eserciti, le famiglie”. Colei che per sollevarsi contro ciò che le viene imposto, dunque, deve riscoprire il valore dell’individualità. Per farlo deve cominciare a metter mano al caos della propria identità, inficiata dai problemi tipici delle personalità gemellari. Togliere la parola a Helga, facendo volgere al singolare anche il titolo del libro, sarà il gesto simbolico di riappropriazione della libertà.