Archivi per la categoria 'letteraria'

altri spot, diario di un giullare timido, festa della mamma, funghi patogeni, la miglior vendetta, le torsioni dell'anaconda, letteraria, minimi sistemi, riflessioni su due ruote, riquaderni dal carcere

sisifeide

la lingua non si staglia sullo scrimolo per proclamare la sua costernazione abbaiando alla sconcia italia. ci arriva appena, spolmonata e ascetica, sfiancata dalle impervie rampe. slombata la lingua che impara a “morire in bici”. s’acceca e si spaura quando che è al sommo, sicché la vertigine la ributta indietro. ricacciata giù per lo stesso versante appena scalato, tutta rovesciata e rattorta, ellalingua riattacca l’erta del dire le cose, ora anfanando ora cantando, quando imbestiando quando ricamando, ma sempre alla caccia della migliore adesione alla realtà (andata in fuga). non ha il gusto della pesca nel torbido perché non è ruffiana né cialtrona né puttana. la mia lingua. RAVB era cognazione d’affetti coi via di testa. e lo stesso l’Anaconda. sarà per il pessimismo di una visione della vita in salita ma almeno è costretta a ricercare la migliore funzione espressiva dei mondi che sceglie di narrare. ben altro che scrivere per mondadori! nevvero, saviano? nevvero, piccole editrici autodistruttive, fresche fresche del nuovo imperativo di mimesi mondadoriana?
nel momento in cui la lingua raggiunge la vetta sa che ha appena un attimo per gridare la sua invettiva congestionata, che poi non ha più tempo e deve rotolare giù a “svolgere il compito cui è stata chiamata” (direbbe qualcuno).
che fa lo scrittore, ancorché scrittore civile? non affronta l’arte di dire le cose, bensì l’erta di dire le cose.
e scusate se sono nicola sacco

le torsioni dell'anaconda, letteraria

relazioni metamorfiche

Per il solo fatto che mette in musica la versione di Hölderlin, l’Antigonae di Carl Orff del 1949 si inserisce senza dubbio tra le metamorfosi filosofiche , poetiche e politiche del motivo di Antigone nella storia e nella sensibilità tedesca. È collegata alle interpretazioni hegeliane, ai dibattiti ispirati da Hegel e Hölderlin e alle teorie di Nietzsche sulla tragedia […] Il lavoro di Orff ha suscitato un disagio psicologico-critico. Molti lo hanno trovato seducentemente brutale. Altri solo brutale. Nell’Antigonae, coro e corifeo hanno un peso monumentale. Il loro modo di esprimersi è, come in tutto il resto della partitura, bruscamente sincopato, percussivo, testualmente articolato sino a rappresentare lo Sprechgesang. Mentre Honegger orchestra in modo tradizionale, il timbro e la struttura dell’orchestra di Orff puntano a degli effetti «neo-ritualistici» ed «etnografici». Le batterie di pianoforti segnano il ritmo dominante. Gli xilofoni, le marimbe, i tamburi di pietra, i carillon, i tamburelli, le nacchere, i gong di Giava, un’incudine, una congerie di tamburi africani, i cimbali turchi danno ai discorsi e alle odi corali un tono martellante, febbrile, ma anche piattamente metallico, quasi traslucido. Sono i vecchi patrizi di Tebe, tremanti, capziosi, eppure solenni e talvolta ispirati, come Sofocle può averli visti declamare, cantare e danzare. Secondo me ci sono episodi dell’Antigonae di Orff che riescono a rievocare l’effetto della tragedia meglio di ogni altra variante o imitazione.

George Steiner, Le Antigoni

le torsioni dell'anaconda, letteraria, minimi sistemi

le intrusioni sensoriali dei morti

a voler tradurre la realtà “contro” le versioni mediatiche devo ammettere, visto il mio momento hegeliano, che il riformismo ottusamente perseguito dal partito democratico, con pertinacia solo apparentemente contraddittoria rispetto alla comune percezione di un soggetto politico amorfo e privo di identità e paralizzato da reticenze e assordanti silenzi, è il frutto più gustoso della politica italiana. il piddì, lui sì, nelle sue varie espressioni e nella storicizzazione dei modi assunti di volta in volta, una stagione politica dopo l’altra, è coerente come solo il personaggio di una tragedia può essere. e pazienza se, inscritto in un destino a cui non ci si può sottrarre, corre a rompicollo verso la sua estinzione. certi flippati e sciroccati di cervello, che dialetticamente agiscono dentro e fuori la creatura veltroniana, ne condividono la medesima sorte.

non può non essere così.

sono serio come serio se non addirittura sacro considero il motivo dell’amorevole cura per i morti.

letteraria, minimi sistemi

desiderata platea

Approdo di demenza della nave dell’amore in un disegnetto brianzolo-italiano:

“La prossimità nonché il commercio delle genti e’ son grandemente appetiti dai vanitosi e da tutti quelli cui natura ha devoluto un temperamento narcissico: (indebitamente ritenuti sociali e lodati come tali). Della società non gliene importa un cacchio: e vi si destreggiano secondo la brama e la tecnica centripeta del più puro egoismo. Ma vogliono gli altri, li vogliono vicini e fisicamente presenti: e di una cotal presenza godono, godono: perocché la straripante carica erotica del loro narcisismo ovvero auto-erotismo ella necessita di una adeguata parete di rimbalzo cioè superficie di riflessione: di uno specchio grande, in poche parole. Gli umani funzionano per loro da specchio psichico: e, se essi talora li amano, soltanto li amano in quanto specchio lusingatore. Salotti, alberghi, piroscafi, e monti e spiagge balnearie e marciapiedi dell’avenida e caffè ne vanno in rigurgito di cotestoro: e dovunque ne incontri.

Il meccanismo autoerotico allogasi, qual più qual meno, in tutte le anime: nelle più ritenute  e modeste, nonché nelle ciarliere ed ingenue: come quelle del garzone del parrucchiere andaluso, venuto e trasmigrato dalle lontane sierre verso la sua straordinaria speranza.

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Il gioco dell’odore

Di pioggia ne era caduta poca e insieme a lei di sabbia ne era caduta invece assai. Questa volta però la conca non si era riempita indi per cui i ragazzetti erano tornati a giocarci dentro. Quel po’ d’acqua che era sgocciolata dal cielo aveva praticamente creato e compattamente steso una patina fangosa su quasi ogni cosa e perciò si poteva star sicuri che le polveri, e i mangimi già sparsi prima, almeno per un po’ non si sarebbero alzati. Oltre quella depressione del terreno, oltre il punto in cui si erano stanziati i bambini coi loro giochi, c’era solo terra bruciata, rottami di ferro, carcasse di automobili e di elettrodomestici assortiti. E nella terra bruciata, si diceva ci fossero le mine. Era terra bruciata. Uno sgangherato cartello segnaletico, posto proprio sul limitare di quella zona, recava esattamente quella scritta: TERRA BRUCIATA. Countinua a leggere »

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Suite in re minore per clavicembalo

Ho attraversato ridendo le sue memorie, cara Rosa. Ho attraversato, ridendo, il suo dolore. E poi si finisce piangendo perché solo nelle ultime pagine il suo sguardo matura la ‘cognizione del dolore’, e rende umano e comprensibile un uomo che se non fosse stato esilarante sarebbe stato niente altro che mostruoso, cagione prima dello stato di ‘orfanitudine’ della figlia a genitori ancora vivi – da non sottovalutare in ciò anche il ruolo svolto dalla gelida madre. Strabilianti poi le avventure del e col barone di Canicattì, sacerdos esperto in esorcismi fecali.

Strabiliante la Sua penna, che le guadagna (opinione tutta mia, chiaramente) un primato che dovrebbe frustrare in eterno la plebaglia che traffica e sgomita nella repubblica delle lettere. Ah, quella lingua colta che “arremba” la pagina e, aggiungo io,  arringa la storia, cioè le dà forma (suprema) e sostanza (la cucina del cachot praticamente un mondo fatto e finito, e la vitalità negli uomini squillante fino al parossismo) … Del libro oserei dire: il sapere enciclopedico in forma (e sostanza) di romanzo. La scrittura tripudiante che celebrando la resistenza nelle condizioni più impensabili celebra la vita, la Sua vita e quella del padre, dei cani sparati, della scimmia venuta da Agadir e di tutti gli INDIMENTICABILI protagonisti di questo immenso “avantindrè” di saga familiare, sgargiante buddenbrook scoppiettante.

Lei, donna Rosa, ci fa dono di una storia con cui il lettore, io sicuramente, fa grandi gozzoviglie. Non avrei altri modi per definire la mia partecipazione. Si gozzoviglia per 286 sfolgoranti pagine. Si conosce il suo inferno, è vero, ma ci si ambienta molto bene (sarà  l’ironia o proprio le gran risate scaturite). Le frattaglie di una cucina in disarmo, di una bestia, o di un uomo morto, il Padre le usava per divinare il futuro, Lei invece le ha sistemate e animate in un tableau vivant indelebile. Chiuso il libro ci sono due cose che si ha voglia di fare: 1) è stato detto, leggerlo ancora; 2) attaccarsi di più ai nostri affetti.

È un libro che invoca amore per sé, per l’autrice, e non dirò mai: per l’umanità, ma per le persone che abbiamo più vicino, per le persone che abbiamo, questo sì.

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togliemetti togliemetti

Vermeer, Donna che scrive una lettera

La terza è una traiettoria più dolce, una curvatura dell’anaconda che intercetta il volo ipnotico di un insetto necroforo. Lo scambio fecondo è cosa chiara alla pagina 256:

“Mia madre diede via i miei cani; quando morì, morì con i suoi gatti. Un gatto tigrato le stava acciambellato sul petto, quasi stesse covando la sua morte come una gallina. Un gatto siamese continuò a lungo a gnaolare nella sua stanza vuota.”

Tra coloro che leggo come le grandi asciugatrici americane, memento perpetuo all’essenziale, scopro questa autrice di racconti. Ogni racconto è una crosticina sulle pagine che formano il grande ventre bianco di una cagna colpita da mastite a cui hanno dovuto portare via la cucciolata. Dice che con lei si riedita il minimalismo, esistente come orizzonte narrativo solo nella mente di Gordon Lish. Un genere letterario intriso di devozione ai piccoli dettagli, investiti di significati sempre più ampi, che chiede al lettore un supplemento di attenzione, uno sforzo di compenetrazione da intendersi come piccolo sacrificio che verrà ripagato poi da sincera emozione. Eppure questo, quando si è al cospetto di Amy Hempel o della Munro o di Carver, continua a sembrarmi solo uno dei tanti aspetti dell’esperienza letteraria o della relazione che si instaura tra autore e lettore, e come tale non può esaurire la domanda di sistemazione critica dell’autore tra le varie correnti della contemporaneità, né tantomeno sembra sufficiente alla codificazione di un genere se non tramite l’affermazione di verità parziali sullo stile e sul giro della frase, e senza mai sventare del tutto il pericolo di fuorviare clamorosamente i lettori posti di fronte alla scelta di affrontare o meno quel libro. Perché quel che si impressiona sui fotogrammi di Amy Hempel, minimalista a detta di molti, bestiole antropizzate a parte, è un repertorio incredibile di aneddoti, spigolature (una donna del West Virginia ha tenuto in grembo il figlio non nato per più di quarant’anni. Si è calcificato fuori dalla parete uterina. Intervistata dai giornalisti, la donna ha detto: “Finché il bambino rimane dentro di me, non l’ho perso”.), battute ad effetto e colte strambate, che poco o niente hanno da spartire con l’esasperazione del non detto. Resta la struttura, per niente aristotelica, né hegeliana, né soggiacente ad alcuno dei canoni più o meno conosciuti, ma tutta bucata, slabbrata, in definitiva ermetica. Un respiro cortissimo come romanziere e il fiato corto persino come novelliere  per cui è molto vero che Amy Hempel “è tutto nella frase”. Ma quanto sbalordimento si ricava da ogni sua frase?

“Ci ha detto che da ragazzo dava la caccia ai topi, che una volta aveva scuoiato un topo ucciso da una trappola e ne aveva fatto un tappetino in pelle di topo per la casa delle bambole della sorella.”

Ragioni per vivere, Amy Hempel

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“una sigaretta alla fine dei pasti…”, “fine del pastoo?!”

letteraria, minimi sistemi

mumble mumble

“Ma chi tocca Kafka, chi tocca Beckett, muore alla politica, è inutile che rifletta sull’uomo in quanto zoon politikon.” Questo afferma Alfonso Berardinelli recensendo Hamletica di un Massimo Cacciari indeciso a tutto.

Ora, non vorrei imbarcarmi in una cosa troppo più grande di me, e allora mi limito a porre ingenue domandine: ma Pinter flirtava con Beckett o no? Si può dire che Pinter sia stato uno degli esiti di Beckett? E la riflessione politica, vista la sua biografia intellettuale e civile, non è proprio uno degli approdi di Harold Pinter?

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un’idea fissa

Ospitiamo con piacere su questo blog gente che si interroga sulle possibilità che alla scrittura ancora restano.

Si saluti qui l’irruzione pubblica di una giovane critica teatrale alla quale aggiungiamo solo gli auguri per il suo avvenire nella parola scritta.

INDIGESTIONE - NON SOLO D’ARTE - AL KISMET

Liquid Cat: un nome, una garanzia. Di che cosa? Di ironia, provacazione, diversione, creazione e, perché no?, distruzione se necessario. Necessario a cosa? A scardinare gli argini di una cultura addormentata, a darle uno scossone, con l’utilizzo dei mezzi espressivi più inconsueti e disparati. Questa proteiforme entità artistica con base in Toscana, prende il nome da un brodo a base di gatto ed erbe mediche, molto popolare nella Corea del Sud, in virtù delle sue capacità curative contro l’artrite e i reumatismi.

All’interno del festival di teatro e arti visive IRRUZIONE PUBBLICA, i Liquid Cat hanno indetto una gara provinciale di cucina barese, che si è svolta negli spazi del foyer del Teatro Kismet Opera, invitando la cittadinanza tutta a prendervi parte. Il concorso, chiamato ‘Konzum‘, ha contemplato una regolare premiazione:

  • 1° premio: SELEZIONE GRAN GOURMET a cura di THE TRAMP (poliedrico intellettuale, autore di ‘Apulia Coquinaria’ di prossima uscita per la casa editrice ‘Il Melograno’).
  • 2° premio: SELEZIONE CUOCO DELUXE offerta da CHEF LEVANTE (dal 1965 una garanzia nelle forniture per ristoranti e alberghi)
  • 3°premio: RISERVA GAMBERO D’ORO a cura di Emanuele SERPELLI (critico gastronomico e gourmet)

I piatti della gastronomia barese, tradizionali o creativi che fossero, sono stati ‘konzumati’ seduta stante, da un artista che si è prestato a questo gioco: mangiare tutte e cinque le pietanze (baccalà con olive e patate, tartine con paté di olive, risotto al vino con mandorle, due tipi di focaccia barese), ed essere ripreso da una telecamera che trasmetteva le immagini in diretta, su un grande schermo posizionato nel foyer del teatro, con tanto di sedie per chi volesse godersi lo spettacolo. Chiunque si fosse seduto, avrebbe assistito ad una simpatica scenetta: un giovane uomo, con tanto di cappello e tovagliolo bianco al collo a mò di bavaglino, che adagio, quasi fosse investito di una missione, assaporava, gustava, e sul finale, probabilmente satollo, ingeriva a forza, le pietanze che gli venivano parate davanti. A completare il quadretto, sulla umile tovaglia di plastica stampa limoni, una brocca, un bicchiere, e un flaconcino di igienizzante per mani, articolo fortemente inflazionato negli ultimi tempi.

Nell’immaginario collettivo, il Sud è facilmente associato al culto per la cucina e la tavola. I Liquid Cat vogliono esaminare la straordinaria ritualità di questa cucina, ripercorrerne le radici, e scoprire le abitudini più recenti dei baresi a tavola. Questa gran quantità di cibo però, cotto, consumato, digerito, evidenzia la tendenza, tutta moderna, all’esagerazione, al consumismo senza controllo, alla forzatura del limite e allo spreco. Come ne ‘La grande abbuffata’ di Ferreri, la voglia di evasione dei protagonisti li conduce all’autodistruzione, così, oggi, il nostro bioritmo sballato, la frenesia di pasti consumati velocemente e in gran quantità, ci alienano e ci rendono prigionieri della nostra abulia e bulimia. Troppe le pietanze, troppe le forzature alle quali ci sottoponiamo, troppi i messaggi che ci bombardano l’esistenza, facendoci perdere di vista quelli che sono i nostri reali bisogni e desideri. Quello che si legge tra le righe è la necessità di recuperare un equilibrio, di riappropriarsi del proprio sentire, di stabilizzarsi, di contenersi, di rientrare nel limite, e poi semmai, consapevolmente, scegliere di valicarlo.

I vincitori (terzo posto alla focaccia di Rosa Paltera, secondo al baccalà di Anna Lacatena, e primo ‘all’eleganza e alla raffinatezza’ del risotto di Andrea Piterà), hanno ricevuto dei prodotti tipici toscani (olio, vino, pelati, taralli), che fanno parte di un progetto di branding e product placement col quale i Liquid Cat si sono inseriti nel commercio fiorentino a tutti i suoi possibili livelli, con l’irriverenza solita che li caratterizza.

(Sara Tetro)

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