altri spot, diario di un giullare timido

invito

L’associazione

GIOVANI MENTI ATTIVE

con la partecipazione di

Presenta:

Caffè Letterario “A Colloquio con la Cultura”

Sala Beatrice Romita – presso i Vigili Urbani – Modugno ore 18,30

 

Venerdì 9 ottobre “A colloquio con l’ambiente

Dott. Giuliano FOSCHINI - Autore dei “Quindici Passi”

Dott. Carlo VULPIO-Autore de “La città delle nuvole”

Dott. Marco BOSCHINI-Autore de “L’Anticasta”

Modera: Giuseppe MILANO – scuola A. Caponnetto

 

Sabato 10 ottobre “A colloquio con la Democrazia”

Dott. Nicola SACCO-Autore di “Racconti a Vita Bassa”

Dott.ssa Tania PASSA - Sociologa e giornalista

Don Rocco D’AMBROSIO – Autore di “Malapolitica”

Dott. Beppe LOPEZ- Autore de “Giornali e Democrazia Countinua a leggere »

diario di un giullare timido

1988-1991

Grazie ad ALIAS del 6 dicembre scorso, uscito con una copertina su la Bibbia Gotica (Arcana, pp. 433, euro 19,50) di Nancy Kilpatrick, ho potuto rituffarmi nei miei sedici anni, età in cui esplorai i territori della new wave e la sottocultura dark. Decisi di essere della partita, un goth, di calcare quella scena lì e di diventare uno in nero. Ricordo che indossavo dei jeans elasticizzati neri, un po’ scaduti sul cavallo, visto che ero e sono tuttora un senza culo, nel senso che non ho chiappe. Non temevo il ridicolo e non mi fregava se mi ridevano dietro. Ancora oggi mi capita, anche sul lavoro, che mi domandino: “Nicola, e il culo? L’hai lasciato a casa?”. Ma tornando ai tempi, mi piace ripercorrere quel mondo di dark alle vongole. Ricordo anche che pensai di arrivare a spararmi della roba in vena per raggiungere un certo stato mentale e dell’anima, che forse mi mancava.

E se questo non successe qualcosa voleva pur dire. Vuol dire che alla fine della fiera era sempre meglio tornare la domenica a mangiare la lasagna della mamma. Il chiodo fisso della magrezza fino al sabato, ma la domenica è sempre domenica. Dovevo essere quello che la Kilaptrick definisce un poseur. Ci si fermava a qualche cannetta e neanche troppo spesso, ché a sedici anni con la paghetta settimanale di dieci mila lire dove potevi andare? Ci si imbucava nelle feste, ancora fatte in casa, a Modugno, Bitonto e Palo del Colle, dove si riusciva a forzarle a tal punto che un diciott’anni impostato sui trenini e pe-pe-pe-pe-pe-pe-pe-pe poteva anche svoltare non dico sui Christian Death o Siouxsie and the Banshees ma sui Cure e i Depeche Mode, beh questo sì. Il concerto dei Depeche Mode a Pasadena era senza dubbio il momento che prediligevo e chi mi procurava deliquio. Il look prevedeva scarpe con punta metallica abbacinante, maglie e camicie larghe abbottonate bene fin sotto il mento e portate rigorosamente fuori dai pantaloni ma poi ognuno personalizzava come più gli garbava, con spilloni e impermeabili tenebrosi. Le zazzere sguinciate portavano poi gli adulti che ci osservavano a una pericolosa criminalizzazione dei nostri barbieri. Voglio però tornare su un punto: la magrezza come dogma di fede. Ma l’avete visto oggi Robert Smith?

   

Gradite risposte di darkacci sopra i quaranta.

letteraria

disSATISFICTION

Giampaolo Serino potrebbe anche tornarci su:                                                                              Guarda l'immagine nelle sue dimensioni reali.

 

[...]Naturalmente, si potrebbero fare altri nomi “promettenti”. Ad esempio Nicola Sacco, barese, del ‘74, che ha pubblicato i bellissimi Racconti a vita bassa (Quarup, 2007) o Antonio Manzini, sceneggiatore e attore, che ha scritto Sangue marcio (Fazi, 2005) e sta per tornare con un libro Einaudi; e nomi di promesse poi non mantenute, scrittori bravissimi al primo libro e caduti poi sul secondo, come Mario Desiati (in Neppure quando è notte ha scritto uno degli incipit più belli degli ultimi anni, poi è entrato anche lui nella grande famiglia di Siciliano…).

Rimarrebbero infine le donne - Fabrizia Pinna detta Bizia, Per tutte le altre destinazioni (Quarup, 2007), ragazza notevole sotto tutti i punti di vista; o Rosella Postorino, La stanza di sopra (Neri Pozza, 2007) o addirittura Rosa Matteucci, se non fosse che la pubblica Adelphi. Ma, da inguaribili maschilisti, siamo convinti che l’ultima donna capace di scrivere sia stata Virginia Woolf. Che non era neppure italiana.

Luigi Mascheroni,  (Il Domenicale)

 

diario di un giullare timido, letteraria

La Repubblica porta ritardo

Scusate ma non riesco a tenerlo dentro:

ho scritto un libro (Racconti a vita bassa) cercando di illustrare un mondo di esistenze sbagliate, vite piene di scompensi morali e fisici, bambini di otto anni già molto smaliziati ma vittime di crescite anomale il cui futuro è un approdo di perversione; predestinazione alla criminalità; un collegio monastico con tutta la violenza fisica delle suore che porto ancora dentro di me; bambini dispersi, ritrovati e di nuovo abbandonati; una dedica a tutte quelle persone che vivono nella totale perdizione e che non intravedono il giorno in cui riusciranno a ritrovarsi; la desertificazione del suolo e l’inaridimento dei rapporti umani; vite vissute per delega, secondo il condizionamento se non la prescrizione di qualcun altro, vuoti interiori incolmabili, arsura morale da parte degli adulti e, per converso, infanzia violata anche da matta bestialità; e nessuna bellezza a far da paciere col mondo.

Le storie intrecciate di Dàniel e Michelino bambini, Gerardina la genitrice possibile e falsa, della quale mi affascinava il percorso che porta una donna, che si sente benefattrice perché fa la carità e raccoglie i bambini per strada, a non sentire più nulla, come per una sorta di legge del contrappasso, finisce per non sentire più nulla sia fisicamente che metaforicamente. L’ho punita in questo modo perché è una persona che ha costruito tutto sulla falsità, sull’ipocrisia, come ce n’è nella nostra provincia: bigottone che fanno finta di occuparsi degli altri ma, quando qualcosa le tocca da vicino, eccole manifestare il loro spietato egoismo.

L’adolescente Olga, ben lontana dalla maturità perché costretta a subire la violenza dell’universo che la circonda: un ragazza in conflitto con tutto e tutti e che colleziona una serie di scelte sbagliate. Olga, diversamente dagli altri personaggi, possiede una famiglia ma evidentemente non le serve.

Tutto un mondo in cui la famiglia non esiste ma di cui, paradossalmente, se ne sente la mancanza, e tuttavia non si tratta tanto di nostalgia della famiglia intesa in senso tradizionale quanto di una rete degli affetti, di legami profondi e reali.

Infine, Riccardo. Spaventevole quanto naturale evoluzione dei personaggi da me creati.

Insomma, tutta una geografia umana ignorata, come nota Giuseppe Giglio, una commedia di demenza e dolore.

Poi un bel giorno arriva R2 (La Repubblica del 20 ottobre 2008) e titola I BAMBINI PERDUTI DI PUGLIA .

Tenere ben presente che si tratta dell’inchiesta di prima pagina della sezione R2 de La Repubblica.

Il giornalista scrive: Abusati, violentati, picchiati. Sono 50.000 i minori abbandonati in Italia, la maggior parte nel Sud. Così, mentre l’adozione è un terno al lotto, le comunità si riempiono di bimbi. Condannati alla solitudine […]
un esercito di ombre condannate ad un limbo: quasi nessuno torna a casa […]
nuovi orfani, figli di genitori falliti… non esiste un elenco di adulti pronti ad accoglierli.

Dopodiché passa in rassegna l’opinionismo di alcune belle teste d’uovo. Nell’ordine, Nostra Famiglia: “parliamo di devianza giovanile e non ci accorgiamo che a esondare è la devianza degli adulti”; il sociologo Giuseppe Moro: “Bruciamo una generazione confondendo l’autodistruzione con la normalità”; il sociologo Saverio Abruzzese: “La precarietà devasta genitori immaturi e la famiglia allargata si disintegra”; Famiglia Dovuta: “è una società tacitamente costruita per l’abbandono… qualche domanda è lecita sugli interessi che si muovono attorno all’agonia delle nostre relazioni; la priorità non è nemmeno più aiutare i figli traditi dall’egoismo, ma salvare gli adulti dal nulla che li uccide; la patente per i genitori”.

Mi si perdoni la presunzione:

MA IO CHE AVEVO DETTO?!

letteraria

fior da fiore

Sacco è come le Superga in una pubblicità di tanti anni fa, o si odia o si ama.

Il decespugliatore che si può comprare al lunedì.

La solitudine dei numeri primi è un brodino knorr allungato fino all’inverosimile… metafore matematiche spalmate in ogni buco fino alla nausea. Una lingua monocorde e banale come il suono di un citofono… robina da menopausate.

L’Eco di Paperopoli o i Meridiani… fare i weltroniani a tutti costi… cazzo! almeno sui libri… no!

Somministratrice di queste e altre esilaranti purghette, battutista seriale, fabbrichetta di stilettate, inanellatrice di magistrali similitudini contemporanee, fotagrafa stramba del postmoderno, è di questa ragazza che voglio parlare: Fabrizia Pinna.

Anche lei appartiene alla razza scrittora, ma ciò che più sorprende del suo Per tutte le altre destinazioni, è la difformità stilistica rispetto agli enunciati che ci dispensa per via orale o per altri canali di comunicazione diversi dall’oggetto libro. Cosa che credo possa essere testimoniata da chiunque abbia avuto il privilegio di conoscerla di persona e al contempo leggere Blonditudo e Réclame d’Afrique (i due racconti che compongono il suo volume). “Un controllo feroce dell’aggettivazione” dicono i suoi recensori, non un avverbio di troppo, mai uno scivolone nei territori dello smanceroso nonostante la storia svolga la vita della protagonista Giulietta sulla direttrice esperienza del dolore - ricerca degli affetti - autoassegnazione di un orizzonte, e pure nonostante una miracolosa immacolata concezione, o giù di lì. Ciò che della sua biografia resta nella sua prosa è un deposito leggero di freschezza e un certo strabismo di divertito sguardo.

Circa la parte meno risolta del libro, il secondo e più breve racconto, che ha effettivamente il limite di uno sfilacciamento che Per tutte le altre destinazioni non meritava, vorrei comunque segnalare il pregevole tentativo di esplorazione nelle zone più limacciose delle esistenze protagoniste. Pur andando a sfrangersi in una traiettoria meno significativa della precedente si assiste alla coraggiosa messa in scena di qualche salutare complicazione che lascia ben sperare per il suo futuro di scrittrice.

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