letteraria, minimi sistemi

Ovunque in tempo di pace

Ovunque l’eterna propensione all’alleanza consortile e provvisoria, per obiettivi temporanei e personali.

Francesco Pecoraro

letteraria

Peter in caccia d’amore

Il libro di Peter GENITO

L’Assurdo, dall’insensatezza del vivere all’assenza di amore.

In A fioca Nen, l’originale declinazione del concetto tanto caro a Camus: nel ventunesimo secolo postmoderno,  sgombrato il campo da idoli mostruosi, l’assurdità della condizione umana è decisa in prevalenza dall’inaridirsi del sentimento amoroso. Nei quattro racconti che compongono il volume, l’amore è motivo dominante e a volte disperante, e l’autore gli corre dietro ansimante per tutto il Belpaese, dalla Val di Susa al tacco d’Italia.
In questa rincorsa è la ribellione di Peter Genito (esordiente nella narrativa italiana) all’assurdo delle nostre vite.

Si chiama A Fioca Nen, “Non nevica” (Arduino Sacco Editore, Roma, maggio 2014, pagg. 111, € 10.90), la raccolta dei quattro racconti di Peter Genito.

Come dire che c’è freddo ma ad attenuare i rigori dell’inverno neanche un po’ di ovatta, neanche quel che la neve può conferire ad un paesaggio (magari pure dell’anima) con la sua capacità di cambiare volto dalla sera alla mattina ai luoghi più familiari, coprendo, ammantando, ovattando e, allo stesso tempo, generando stupore. L’inverno del nostro scontento, direbbe il Poeta.

Dunque, non nevica. Ovvero, non copre. Non attutisce. In contrasto con la copertina del libro, dove invece è raffigurata finanche una tormenta di neve.

Dunque, contrasti.

I racconti menzionano nei loro titoli tre diverse località geografiche (Val Di Susa, Benevento, Lecce), tranne il primo che invece prefigura tutte le mete del peregrinare che caratterizza i successivi tre.

Tema unitario, un costante eppure squilibrato slancio verso l’umanità e le cose belle e alte che l’umanità sa fare. L’equilibrio, l’identità, la dignità e la pienezza di dell’individuo, sono da riscattare attraverso la sconfitta della solitudine e la conquista dell’amore.

Tutto questo, dentro la narrativa di qualità di Peter Genito.

Campano d’origine, piemontese per caso, trapiantato a viva forza nella campagna toscana, dove lavora come Direttore di Biblioteca a Figline Valdarno.

Leggi qui un’intervista a Peter Genito del 2010.

altri spot

È come sommare le pere con le mele, ce lo so

Speciali classifiche sacchiano/nicholiste limitatamente a quanto da me fruito nel 2012. Chi avesse voglia di esprimere un’opinione o un dissenso, è bene sappia che avrebbe senso farlo solo relativamente all’ordine e alle posizioni di classifica da me assegnate alle varie opere, e non per farci entrare quello che non ho letto né visto né sentito – si tenga presente, inoltre che il criterio ordinatore è assunto su base 2012 non in quanto anno di pubblicazione/realizzazione delle opere in parola, ma in quanto anno della mia personalissima ricezione. Tuttavia, chi avesse voglia di esprimere critiche e opinioni di varia natura, sappia che quelle che non hanno colleganza o senso sono anche più gradite delle altre.

NARRATIVA

  1. Moby DickHerman Melville
  2. Novelle RusticaneGiovanni Verga
  3. A caso –Tommaso Landolfi
  4. Questa è l’acquaD. F. Wallace
  5. Last Love ParadeMarco Mancassola
  6. I Malavoglia –Giovanni Verga
  7. D’un château l’autreLouis-Ferdinand Céline
  8. ReduceGiovanni Lindo Ferretti
  9. Todo modo – Sciascia
  10. Conversazione in Sicilia – Elio Vittorini

Maglia nera: Atti innaturali, pratiche innominabiliDonald Barthelme, Io e teNiccolò Ammaniti

LIBRI VARIA (Saggistica, teatro, altro)

  1. Sunset LimitedCormac McCarthy
  2. Lettere Luterane Pier Paolo Pasolini
  3. Passione e ideologiaPier Paolo Pasolini

Maglia nera: In vino veritasSøren Kierkegaard

CINEMA

  1. Faust
  2. The Sunset Limited
  3. Pietà (regia di Kim Ki-Duk)
  4. Il sospetto (regia di F. Maselli)
  5. Cesare deve morire
  6. Todo modo
  7. Un gelido inverno
  8. Hunger
  9. Dogtooth
  10. Drive
  11. Coccodrillo (regia di Kim Ki-Duk)

Maglia nera: L’enigma di Kaspar Hauser

funghi patogeni, riflessioni su due ruote

troppa grazia /2

L’eros è conflittualità farneticante dell’io. il porno è, al contrario, oggettità irreciproca dei corpi non squalificata da nessun soggetto; oggettità che eccede il desiderio, o-scenità irrappresentabile. Carne senza concetto. [c.b.]
L'Histoire Érotique
Di nuovo su quei tornanti. L’arrampicata questa volta è un incubo di fatica, tendini e tessuti tirati allo spasimo sul punto di strapparsi. Troppo ravvicinata. Ma la smania di tornare sul luogo in cui lo spirito santo gli si era manifestato era incontenibile.

“Non voglio sapere qualcosa di te. Voglio che tu mi parli di te, Angelo. Mi s’è fatta voglia di sentire la tua voce.”
“Non saprei da dove cominciare. Fammi una domanda precisa.”
“Hai mai fatto il chierichetto?”
“Il chierichetto mai. Solo una volta, al quartiere popolare dove abitavano i miei nonni fui trascinato ad una messa dove si ritrovarono improvvisamente con penuria di chierichetti e mi fu proposto di assistere il prete nella funzione religiosa. Mi buttarono addosso una tunica troppo lunga nella quale non feci che inciampare tutto il tempo. E non sapevo poi cosa fare, sbagliavo tutti i movimenti nonostante mi fosse stato detto di non starmene troppo a preoccupare. Ma credo sia stato uno dei momenti più penosi della mia esistenza.”
“Il giorno più bello della tua vita.”
“Non mi sovviene. Sarà povertà di spirito?”
“Il tuo ricordo più antico.”
“Potrei confondermi, potrei credere di averne individuato uno e magari dopo scopro che ce n’è un altro prima.”
“Va bene, adesso vai che c’è tutta questa umanità che mi prega. Ma sappi che so cosa mi vorresti chiedere, per cosa vorresti che io intercedessi. Questo ti lega a me e da ora sei mio devoto. Devi manifestarti tu qui da me.”

funghi patogeni, riflessioni su due ruote

troppa grazia /1

L’eros è conflittualità farneticante dell’io. il porno è, al contrario, oggettità irreciproca dei corpi non squalificata da nessun soggetto; oggettità che eccede il desiderio, o-scenità irrappresentabile. Carne senza concetto. [c.b.]
L'Histoire Érotique

All’inizio saliva per restare solo. Spingeva più forte degli altri sempre per restare solo. Poi comprese che era la conquista della vetta ad interessarlo. Intuiva con ciò di avvicinarsi in qualche modo all’esser caro agli dèi. Ascendere in bici, restare a spellarsi l’anima sulla roccia spellata poteva ben essere una penitenza a cui far seguire una richiesta d’aiuto rivolta direttamente alla madonna sommitale. Già discreta meta di pellegrinaggio.


In capo a una manciata di scalate della stessa rupe aveva capito che lo scollinamento era tutto. Fermarsi a guardare la statua, lasciarsi attraversare dalla spiritualità del luogo per sondarvi una qualche benevolenza, una disponibilità.
Altroché.
“Puoi fermarti, sai?” gli pareva di aver sentito. Non si sbagliava. “Anche darmi qualche lume su di te. Perché mi cerchi?”
Terrorizzato si buttò giù per la discesa. A rompicollo. E la notte che seguì fu angosciosa. Verso l’alba cominciò a esaminare le cose un po’ più razionalmente: ci sono madonne che piangono e piangono addirittura sangue, ci sono madonne che esalano nell’aria in nebulose che compongono figure vagamente mantellate. Perché meravigliarsi se la sua aveva scelto di parlargli? Solo non capiva come queste entità celestiali potessero aver bisogno di sapere. Come? Non conoscevano già tutto loro?

letteraria

un caso modugnese di Letteratura dell’esilio

Capitolo Cultura a Modugno: si dessero le condizioni per un gran bel repulisti di banalità e frasi fatte, in questa città si perverrebbe alla felice scoperta che la realtà è ben oltre ogni immaginazione. Già, perché l’immaginazione pare attossicata dal luogo comune, e questi altro non sarebbe che idea approssimativa, quando non del tutto falsa, della realtà culturale, dunque ‘idea ricevuta’ sullo stato dell’arte locale. L’altra faccia di un conformismo che se fosse spazzato via (cara grazia) lascerebbe posto ad una sola, bellissima reazione: di stupore di fronte a un patrimonio “di cui non se ne ha l’idea”. Appunto.

“Qui non c’è niente, qui non c’è cultura o nessuno la fa”, sarebbe la prima pertinace convinzione a finire a gambe per aria.

Ciò che manca, invece, manca del tutto, manca in senso criminale, è una volontà politica, un principio organizzatore, un orizzonte, un disegno anche di corto respiro; a mancare drammaticamente, in due parole, sono le Politiche Culturali. Precisazione, anche questa niente affatto originale, ma utile non soltanto a erodere terreno al qualunquismo endemico, a sottrarre argomenti a quel luogocomunismo in servizio permanente effettivo che tutto confonde e annega, ma pure anche a reagire nei confronti di chi, dalla imprecisione e dalla indeterminatezza dei concetti – ciò che corrisponde all’azzeramento della coscienza critica -, ha tutto da guadagnare. Primo: non fornire alibi a coloro che già fomentano l’anestesia di massa e che a questa rinuncerebbero solo potendo promuovere un analfabetismo di ritorno.

Si vuole qui segnalare come la scena cittadina sia fitta di ‘attori culturali’: una moltitudine di soggetti (al netto di coloro che lo fanno velleitariamente) che si cimentano in ‘imprese culturali’: poeti, romanzieri, attori, registi per il teatro e per il cinema, danzatori, musicisti e pittori. Molti di questi hanno raggiunto traguardi di una tale rilevanza, addirittura internazionale, da poter essere considerati artisti di vaglia, talenti certificati, ove mai ce ne fosse bisogno, da palmares e onorificenze. Inutile sottolineare come tutto questo (le loro opere, la loro arte) succeda nel totale disinteresse e della città che se n’infotte e delle sue istituzioni, fatti salvi quei passaggi doverosi in cui ‘il fatto importante’ viene notiziato – e magari accompagnato da certo cinismo propagandistico.

Meteore. Meteore per Modugno ma non certo per chi di quel talento, di quella professionalità, di quella risorsa si avvale ogni giorno e, così facendo, la valorizza e la fa fruttare.

Un caso emblematico per tutti: Tommaso Di Ciaula. Scrittore (di poesia e di narrativa) di statura elevatissima, degno di essere collocato tra i giganti della letteratura italiana contemporanea – chi scrive, mentre scrive, temendo di averla sparata grossa, ci pensa su e … e non è che veda in giro tutti ’sti giganti e sì comunque, Tommaso Di Ciaula ben figurerebbe insieme a quei pochi viventi capaci di Letteratura in Italia.

Bene, occorre motivare un giudizio tanto esaltante. Occorre andare a vedere dove sta la sua grandezza. E mostrarla. E se dovessimo riuscire a dimostrare come e qualmente l’autore di Tuta blu meriti di essere considerato uno dei più importanti scrittori italiani, il passo successivo sarebbe quello di gridare allo scandalo per la difficoltà (di reperire i suoi libri) in cui s’imbatte oggi chiunque voglia accostarsi alle sue opere. Dopodiché sarebbe inevitabile invocare un’iniziativa ‘politica’, almeno sul piano locale, per tentare il rilancio o una nuova diffusione dei suoi scritti. Countinua a leggere »

letteraria

Dilatata pupilla

Ho rimeditato a lungo lo scioglimento dei dilemmi posti nell’articolo precedente, giungendo alla conclusione che se avessi azzardato delle risposte avrei finito per incasellare temi e trinciare giudizi ai quali avrei potuto anche impiccarmi. Inoltre mi sembrava di tornare su argomenti da me già fritti precedentemente a proposito dell’irriverenza verso verità precostituite e della necessità di mettere in discussione anche quanto si crede di aver guadagnato alle proprie certezze. Temevo di ripetermi e annoiare, insomma. Incasellare è un po’ morire e non è un caso che abbia accusato un impeto di inaridimento, un blocco che finora non avevo mai sperimentato proprio laddove cercavo di fare giù un discorso organico. Decidevo, pertanto, che ero uno incapace a statuire alcunché.

Dice: “allora te scrivi e scrivi ma non hai un progetto sulla lingua”. Bon, a parte che sulla lingua affettivamente non avrei un progetto ma una carta geografica, quella sì … Bon, potrebbe anche darsi. Se proprio oggi dovessi postulare ‘per i capelli’ qualcosa, direi una roba deludente tipo che la letteratura per me è uno sguardo, anzi più che uno sguardo quasi un’occhiata distratta sull’orizzonte del narratore, un racconto appunto senza alcun progetto e nemmeno messo in moto da chissà quale intenzionalità.

La mediazione dell’io che batte. Le lettere. Sulla tastiera. Non magistero della parola, ma trattativa, più che intrattenimento, da marchettaro con la lingua, inteso come caccia all’utile espressivo più immediato – forse per questo si dice “nell’economia del testo … etc., etc.”. Questa mediazione ha qualche rilevanza in quanto quell’io si è formato su altre letture. Da cui perverrei alla banalità che la funzione della letteratura è tutta nell’essere letta. Questa mediazione è degna di attenzione se l’io che la conduce mostra i crismi della genialità. E avendo sostenuto la distrazione dello sguardo, per genialità intendo il culo di ritrovarsi a guardare le cose (per raccontarle) da un punto di vista inedito. Il culo, perché ogni bravo proposito nella scelta dell’osservatorio mi risulta essere fallimentare. Questa la ragione, secondo me, per cui durante tutto il 2010 son stato lì a dire che la massima espressione letteraria dell’anno era Suttree che si muoveva sul suo “schifo” a pelo di melma e di detriti, da lì guardando la vita mentre accadeva sulle rive del fiume. Un movimento più geniale di ogni altro movimento di macchina, steadicam o dolly che sia. Un debito contratto con la cinematografia degli albori, quando i primi macchinicchi manovellati venivano sistemati su un battello della Senna o su un trenino, e via andare, il vedutismo, ma col valore aggiunto della grande tradizione letteraria americana palpitante e scalciante per sgorgare via dalla penna del McCarthy.

Alla fine mi è sembrato che la verità della letteratura sia la primigenia botta di culo nella genesi dei libri che sono poi stati in grado di scavallare i decenni e i secoli in virtù della loro preterintenzionale capacità di spoliazione dell’animo umano. Ovviamente diremo RAUS! ai libri scritti col culo degli altri (quelli più premeditati e al fondo cinici e disonesti nonostante il grande fascino dell’autore seduttore e cretino), ma questa è un’altra storia.

Ad ogni buon conto, ringrazio la lettrice Anna V. per la cortesia che mi ha usato di raccogliere i quesiti che io ponevo e per la qualità delle sue risposte. Apprezzo particolarmente, e sento molto vicino a me, il relativismo da lei mostratoci circa “la verità di chi scrive accolta nella verità di chi legge”. Si scrive per poter dire “io” mentre si compie l’azione perfetta dello scrivere: io mi responsabilizzo con le parole di cui dispongo, pongo in essere un linguaggio e giuro che quelle parole non siano vane: pongo una relazione etica – l’unica possibile dentro questo universo - tra me che significo e significato. Adesso però, il tardoccone che scrive si aspetta anche un chiarimento sul diritto di scrivere ‘vongole’.

Ad ogni buon conto due: lo sguardo. È un filo di crepa che tradisce sempre l’autobiografia, anche quando l’autore le prova tutte per rimpicciolirsi e scomparire. Lo sa bene un critico letterario come Giuseppe Giglio, il quale non per caso colloca in esergo al suo libro, I piaceri della conversazione – Da Montaigne a Sciascia: appunti su un genere antico, queste parole di Sciascia: “Uno scrittore, quale che sia la forma o il genere in cui si esprime, non si confida e confessa sempre? Nella sua opera non c’è già ogni confidenza, ogni confessione? Ogni buon lettore non è in grado di estrarle e farne testimonianza?”.

Ora, per chi non fosse soddisfatto del gran quaquichigghio che effettivamente ho qui combinato, giocando presuntuosamente con concetti di cui potrei non essere all’altezza, il libro di Giuseppe Giglio, vincitore dell’ultima edizione del premio Cardarelli come migliore opera prima di critica letteraria, costituisce sicuramente il luogo ideale in cui cercare possibili risposte alle domande che ci siam fatti. Non che Giglio incaselli o trinci giudizi, come sopra ho paventato, anzi, rischiara, e di molto, le idee e senza assumere un tono oracolare. Le sue conversazioni - il concetto, la chiave, della conversazione - vengono ad essere un’intuizione di non poco momento per la critica letteraria: tanto la stesura di un dialogo all’interno di un testo letterario costringe l’autore a prendere ” in considerazione le diverse opinioni possibili”, procedendo “a sostituire dogmi e preghiere” (Borges), tanto la conversazione è “un sistema – che rifiuta ogni sistema – di leggere il mondo, di capirlo […]” (Sciascia). Credo che una siffatta impostazione rappresenti un inedito quanto encomiabile bagno di umiltà oltre che un metodo sempre auspicabile per la critica letteraria, un segnale di ritorno entusiastico alla lettura, lettura e riflessione e giudizio nei quali si è smesso una buona volta di spingere avanti i propri preconcetti, in una cornice di ritrovato rispetto per gli scrittori. Se sussistono queste condizioni allora si può negare che la letteratura sia un risultato esclusivo dell’autore, per affermare invece la Letteratura come intelligenza del critico con lo scrittore.

Per appagare quindi la curiosità su come si tiene insieme un discorso critico ambizioso locupletato delle voci di alcuni dei più ‘grandi’ scrittori della storia (Montaigne, Stendhal, Pirandello, Brancati, Savinio, Borges, Alvaro, Sciascia, Durrenmatt e altri ancora) non posso far altro che rimandare alla lettura delle loro conversazioni con Giuseppe Giglio:

le torsioni dell'anaconda

nicola sacco e l’analfabetismo di stato

presuntuosamente affermo che fintantoché diverse decine di migliaia di italiani non avranno letto “il parto dell’anaconda” mancherà loro una conoscenza fondamentale per comprendere buona parte della “vicenda umana”.

diario di un giullare timido

radiazioni

Soggiorno a pianterreno, un signore sui sessanta impreca guardando fuori dalla finestra, un ragazzone sui trentacinque con indosso la divisa della Sampdoria, calzettoni e sandali sudici ai piedi, steso sul divano, un copridivano unto. La consolle della XBOX schiantata per terra, cavi che corrono sul pavimento, la nebbia nel televisore acceso.

Entra Nicola come uno a cui sia stato richiesto di accorrere in fretta.

Padre (esasperato) – Ha avuto una crisi.

Nicola – Crisi?

Padre – Ma perché Cristo non se lo chiama? Perché?!

Nicola - Non dire così adesso. (curvandosi verso il ragazzo). Giampiero? (alzandosi di scatto, verso il padre) Ma che cazzo è? Eh? Sta tutto ammaccato in faccia.

Padre – L’ho dovuto prendere a pugni in faccia, lo capisci?

Nicola – Ma non lo capisco manco per il cazzo!

Padre – Era lì da tre giorni, lo vuoi capire? Tre giorni che giocava ininterrottamente. Stamattina all’alba ha cominciato a prendersi a schiaffi. Sono andato per farlo smettere ma era diventato un toro impazzito.  Lo capisci adesso? Lo capisci che te ne devi andare a fare in culo tu e i tuoi regali del cazzo? Che non so più che diavolo vai cercando da noi?! Allora adesso ti prego di non farti vedere più. Lasciaci in pace, vattene da qua e non tornare mai più!

letteraria

Parlo a vanvera dunque scrivo

Qua succede che si è talmente capovolta la faccenda che non tiene più neanche l’alibi dei temi complessi che devono passare necessariamente per figurazioni semplici e di facile lettura. Perseguendo ossessa il mito dell’immediata comprensione, l’odierna narrativa italiana, e tutto il sistema che la regge, corre il pericolo di degradarsi a pura innografia e quindi, fatalmente, a canto liturgico che necessita appena di un officiante, due chierichetti e magari un coretto tuseilamiavitaaltroiononho. Invece la struttura agile ce la si deve meritare, come Nietzsche si meritò la pazzia, sennò come fai a criticare la cazzata del “serve un PD più sexy“? Che altro doveva essere questo partito se non appunto una struttura agile? E non è diventato un pasticcino avvelenato questa storia delle categorie sexy spalmate su ogni forma di espressione dell’uomo di cittadinanza italiana a mascherare la mediocrità, la desolazione? A furia di sensualizzare il nulla poi non ci si dovrebbe sorprendere più di tanto se a quel ragazzo che ti faceva così sesso poi non gli si arma la verga. E tu, che eri convinto di sentire addosso a lei il profumo della fica? Te ne tiri uno a mano visto che l’hai trovata seccata come neanche dopo prolungata esposizione a vento di favonio. Perché se non sei Céline non puoi sciacquarti la bocca con la scrittura che riproduce il parlato quotidiano. E dei tanti nuovi Céline se ne son salutate di nascite ma poi ci si è dimenticati di pubblicarne il certificato di morte.

Pross. »