Come imparare a camminare su un tacco 15 di fango durante l’attacco speculativo alla festa 40 /5
BLACK OUT! NO POWER! LE MANI A POSTO, NEH?!!!!
Sicuro che per Dorian Gray si trattava della conferma di un inemendabile, provinciale pressapochismo organizzativo mentre per tutto il resto dei partecipanti era solo un piccolo, trascurabile incidente che presto avrebbe trovato rimedio.
Ma chi lo andava a pensare che il magnetotermico stava messo nel Nevada?
I minuti passavano, la corrente non tornava, il festeggiato carambolava nell’oscurità dalle stalle ai casotti della servitù attraversando pantani e merdai vari, scandagliando tombini e aprendosi varchi col machete in una distesa di granturco, alla ricerca dell’interruttore bastardo. Gli faceva luce Tina Pica che aveva con sé, all’uopo, un cero da processione.
Prima di cominciare a parlare di attacco speculativo alla festa 40 sferrato dal Neu’antri Club e da tutto il cucuzzaro imperialista, si udirono svariate interpretazioni circa i motivi del black out:
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L’elettricità era venuta a mancare in tutta la regione per un guasto alla centrale
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L’elettricità era venuta a mancare in tutto il Mezzogiorno per un delirio di onnipotenza di Equitalia
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Il mondo aveva avuto un mancamento a causa del fatto che il Tissi s’era messo a scuoterlo con una potenza inaudita
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Gesù non voleva - che cosa non si sa, ma il tizio che non si riconosceva nel patto sociale pretendeva di terrorizzare le genti pronunciando quelle parole, sbarrando gli occhi e rantolando come un cretino. Pare che ’sto strambo sia riuscito a passare in rassegna tutti gli astanti col suo fiato apocalittico (anche perché, in segno di frugalismo, s’era messo a mangiare la biada del cavallo e ce l’aveva ancora fra i denti) e pare anche che fu proprio quando arrivò il suo turno di sorbirselo che DJ S’è Perso abbia maturato la convinzione di eliminarlo fisicamente.

Gli invitati ingannavano il tempo procurando un gran lavoro al mastro biberoniere Giorgio Kulashaker Mancino, il quale, avendo passato tanti anni in una cella di isolamento al buio nella Guyana francese, aveva imparato a fare al buio tuttecose. Solo, data l’altissima domanda di beveraggi alcolici, doveva far fronte al rischio scarsità delle risorse ricorrendo a “freeway cola, idrolitina, ben cola, frizzina, spuma, amaro dom bairo, liquore strega, grappa bocchino, crema di zabaglione zabov, mandarinetto isola bella …”, molte di queste bibite sottratte al corredo funerario dell’ultimo deceduto degli Alcolisti Anonimi di zona. DJ Tommaso Accroccodiconsonantiacasaccio’Erti decideva di contendere al Tissi la palma del più accanito bevitore della serata e andava perdendo a vista d’occhio la sua proverbiale compostezza. Presentato ad una ragazza, delirava “Come? Non mi conosci già? Io sono un noto scienziato adattamentista di Bari …”
Di ritorno dai campi di granturco a nord-est, il Vaccarelli attraversava il patio della villa trotterellando tutto impanicato in mezzo a capannelli di amici immersi in amabile cazzeggio che cercavano di strappargli una parola di speranza sul ritorno della corrente. Ma questi subito si ritraevano sgomenti per il pericoloso roteare di machete di quello.
“Prestami un po’ la tua durlindana” lo aveva pregato DJ S’è Perso.
“Non posso, Andrè, sono diretto verso i campi di cotone a sud-ovest. Mi serve ancora.”
Tale Sergio Rendina, sedicente intellettuale latouchiano, sdottoreggiava: “Bene così, dobbiamo tutti abituarci a consumare di meno. È la decrescita felice”. Il Vaccarelli, udite en passant solo le ultime parole del predicozzo, parve sentirsi insolentito. Ma come? Decreto CresciNico e compagnia bella per mettere su tutto questo caravanserraglio e lo stronzo se ne esce con la decrescita, per giunta felice???? ‘Sto cazzo! Tina Pica già faticava a tenerlo ché gli stava scattando l’ignoranza, tuttavia dalle labbra a cuoricino del Vaccarelli partiva uno sputo violento e teso che andava a dislocarsi nell’occhio destro del Rendina. E mentre la pastella biancastra gli colava giù dall’occhio lungo la guancia, la starlet delle Sacco’s & The City, infieriva sul Rendina: “Tu con le tue menate c’entri come il quattro di spade quando la briscola è a coppe”. Naturalmente, a sbiancare in questo modo l’intellettuale, non altri poteva essere che Briscola Donnadispalle Rida, anche se presentandosi ella di spalle e immersa com’era nell’oscurità, si sarebbe detto che il monito venisse dal nulla. L’eroina del fotoromanzo postmoderno stava imparando a mimetizzarsi coi buchi neri e, come tale, destinata a diventare oggetto di approfondito studio nonché feticcio e astro guida per DJ S’è Perso.
Vedendolo nuovamente allontanarsi, si poteva osservare il singolare fenomeno della fanghiglia che risaliva lungo gli arti inferiori del neoquarantenne. Ove mai la festa fosse ripresa c’era già chi stava pensando di ciulare le sfavillanti protesi gambarie in fibra di tungsteno di Angioletta Cuchy per poi impiantarle alla meglio al festeggiato così da permettergli di tornare a risplendere nel giorno della sua festa.
part five
10 Feb 2012 Nicola 1 commento




Dorian Gray, sussura sferzante all’orecchio di Tina Pica: “Il terzomondismo del Tissi mi dà la nausea”. “E vabbuò, nun ce penzaje, mangiate ‘na sfugliatella” lo consola Tina Pica infilandogli una pizzetta in bocca. Senzuale.
Assise di stronzi dunque proprio no, tanto più che chiunque fosse presente quell’apocalittico sabato notte in cui si annunciarono tutte le nefandezze previste per il 2012, bene, chiunque fosse lì poteva apprezzare un bouquet sociale, ivi convenuto, straordinariamente variegato: dal lunpenproletariat dignitosamente (?) rappresentato dal Filippo Tissi al ceto medio riflessivo (incarnato dal ser Gianga) alla high society delle Sacco’s & the city. Financo un tizio, in rappresentanza della bohème più stracciona, che non faceva altro che ripetere di non riconoscersi all’interno del patto sociale e che è sparito dopo dieci minuti. Chi dice che s’è buttato nella lama dopo essersi fatto un negrone sbagliato (tiro molto mancino giuocatogli da Giorgio kulashaker Mancino mastro biberoniere), chi dice invece che DJ S’è Perso non lo ha retto più sin da subito e conducendolo in camporella col pretesto di mostrargli meglio certi protopianeti plutoidi allogati nella volta celeste, dietro un pitosforo gli avrebbe tranciato la giugulare servendosi dell’apriscatole che egli porta sempre con sé insieme con la confezione da 15 di carne Simmenthal. Nel caso sia buona la seconda, sono certo che il buon Andrea non abbia trascurato di avvolgere il cadavere in un bustone dell’immondizia pur di poter ammirare per qualche secondo l’epifania iconica di Lara Palmer.
Essì che la voce imperversava tanto che l’invidia stava avvelenando tutti i pozzi notturno-danzerecci del comprensorio barese. Durante la prima metà del gennaio 2012, un imprevisto asse tra quelli del Neu‘antri Club, Haciendalisti e Nuovi Demodés s’andava raggruppando in una inedita Grosse Koalition per un’azione che ruotava tutta attorno all’approvazione urgente del decreto Salvasabatosera, il cui contenuto era però ancora coperto da segreto di provincia. Da fonti più o meno attendibili era trapelato solo che tale decreto nasceva per neutralizzare, se non proprio sabotare la festa 40 indetta da un irresponsabile Nicola Vaccarelli per festeggiare i meno sessanta dalla morte. Cotanto baccanale minacciava, sebbene ad accesso esclusivo per inviti e a numero chiuso, di far mancare invece il numero legale ovvero la bella gente alle serate organizzande dai rispettivi succitati soggetti promotori. Per tacer del rischio ‘infiltrazioni’ che, stante il tam tam sempre più febbrile sul web, s’andava facendo molto concreto, indi foriero dello sgradevole fenomeno degli imbucati in relazione alla festa 40, ma altresì e indi foriero di ben più sanguinose assenze in relazione ai consessi già calendarizzati dai giganti della scena alternativa. Montava, indi, una malevola propaganda con l’obiettivo di screditare, quando non proprio immerdare, il rito autocelebrativo del neoquarantenne – e si sarà capito che l’indie è come il maiale, dell’indie qua non si butta via niente, nemmeno il suo prefisso ‘indi’ suscettibile di essere letto come avverbio. I giganti, così facendo, mostravano un’incresciosa indifferenza, ma c’era da aspettarselo, verso il clima e lo spirito nei quali era maturato il decreto CresciNico istitutivo della festa 40. Cosa che avrebbe dovuto alquanto alimentare il dubbio che l’evento non fosse poi così autoreferenziale. Ma si sa, gli italiani, ancorché baresi, sono gente che odiano, e fu così che furono artatamente messe in giro puttanate sesquipedali, tipo che alla nostra festa, la 40, sarebbe in primo luogo circolata un’inservibile droga da pezzenti: la crescina.
La scrittura di Camus lievita come un’estate feroce: flutti ininterrotti di Romanzo inondano le sue pagine. Il microcosmo di Orano, vetrino da esperimento per le passioni di un’umanità al limite tra disgregazione e solidarietà – così, molto felicemente, recita il testo della quarta di copertina – è puntualmente indagato in ogni suo recesso. La peste è un romanzo talmente ambizioso che una volta riuscito non può non essere classificato patrimonio dell’umanità. Il suo vertiginoso coefficiente di difficoltà, insito nel non irrilevante problema di restituire in modo credibile al lettore un universo colpito dalla peste, diventa quindi il tratto più prestigioso dell’opera. Questo avviene perché, ad onta della natura tutta finzionale dell’espediente narrativo della pestilenza, mai, davvero mai, quella che tecnicamente si chiama sospensione dell’incredulità viene a subire contraccolpi. In maniera molto volgare, o in due parole, siamo dalle parti della lettura avvincente.
Camus ci prova, tenta di sfidare l’assenza di senso dell’esistere, estende il contagio fino a quando questo non ha eliminato tutti i giudizi di valore. “Si accettava tutto in blocco”, scrive sfidando la sue stessa creazione letteraria, quella che gli sta alle spalle. Con questo suo estremo tentativo, prova a sterilizzare l’amore fino a creare un mondo insensato, basato sulla “pazienza senza futuro” e su “un’attesa incagliata”, nel quale gli uomini restano uccisi come mosche. Ma resta, per così dire, vittima della immensa sua costruzione. Adesso non può fare a meno di osservare “l’appetito di calore umano che spinge tuttavia gli uomini gli uni verso gli altri”, e li spinge fino anche alla spasmodica ricerca di quei “torridi piaceri che li difendevano dal gelo della peste”.
