JONIO OPEN SUMMER 2022
06 Giu 2022 Nicola 0 commenti
06 Giu 2022 Nicola 0 commenti
La crescita del consenso per Putin alimentata dalla riemersione di quella fetta di opinione pubblica che si ritiene comunista o di sinistra, o di sinistra radicale, si spiega così: Vladimir Putin e tutte le sue gesta sono il classico, direi standard, prodotto del comunismo sovietico, quindi del comunismo tout court, dato che non si dà un comunismo diverso da quello storicamente sperimentato.
Il fatto che il presidente russo sia anche apostrofato come carnefice nazista non deve sorprendere: le due ideologie totalitarie sono pari in tutto, sovrapponibili, identificabili. A questa parificazione di due sistemi sostanzialmente criminali e parimenti genocidi ha provveduto pochi anni fa il Parlamento europeo. Dunque Putin può essere dipinto indifferentemente con la maschera del macellaio nazista un giorno, del devastatore comunista il giorno dopo.
L’interscambiabilità, se non smascherata, fa gioco a tutti e può essere usata secondo la convenienza di ciascuno e del momento. Infatti, di questa interscambiabilità Putin per primo si è giovato: se ci si va riprendere il famigerato suo discorso che annunciava l’ “operazione militare speciale” balza agli occhi come gli obiettivi enunciati a giustificazione dell’invasione sono, in un modo apparentemente farneticante, sia la decomunistizzazione che la denazificazione dell’Ucraina. Forse Putin è un democristiano?
16 Apr 2022 Nicola 0 commenti
01 Ott 2018 Nicola 1 commento
a proposito della polemichetta estiva tentata dal Rettore dell’Università di Storia, Fantasia e Lettere Desuete di Modugno…
è saltato su, l’esimio Storico, per contestare il numero di anni di abbandono del centro storico del paese. Non gli va giù 50. Ok, ma quanti?
Volendo dimostrare alla fine non si sa bene cosa - forse che il Centro Storico di Modugno non è stato mai abbandonato? - ha portato come esempio della tesi che non ha avuto il coraggio di enunciare una serie di interventi, ora scontati ora francamente insulsi, realizzati nientemeno che “dalle amministrazioni che si sono succedute”. Ponendo tutto questo in antitesi, improbabile e ridicola, con l’operato dell’amministrazione in carica. La quale, invece, il centro storico lo sta sistemando per davvero.
Dunque, ascoltate e leggete il Referenziatissimo e poi
trasecolate amici, perché nel centro storico c’è stata PERSINO la liberazione dalla schiavitù “du caratiedde”, perdindirindina! E poi mantenetevi forte, amici, perché ci sono state addirittura “le diverse mostre di pittura, gli spettacoli teatrali, le acrobazie di giocolieri e di artisti di strada; le edizioni delle chiese e dei palazzi signorili aperti, con la presenza di guide, per le quali spesso venivano impegnate studenti delle scuole della città”.
Ohiohihoi, Eccellentissimo, non si addice certo alla postura di uno Storico Rigoroso questa coazione a prescindere dallo stato di prostrazione in cui effettivamente versava il borgo antico fino a pochi mesi fa. Lei, Reverendissimo, chiudendo gli occhi sul passato recente e meno recente , si avventura su un terreno decisamente negazionista, cosa che dovrebbe essere avvertita come il peggiore dei cancheri da chi fa il suo lavoro. Eppure disserta con convinzione, negando l’evidenza, dando chiaramente a intendere quali sono le sue antipatie e idiosincrasie (lo Storico farebbe bene a tenerle da parte). È chiaro, il presente, soprattutto politico, non le piace, come il presepe a Nennillo. E invece di argomentare col metodo dello studioso cosa fa? Va a smucinare in un repertorio che custodisce solo lei in chissà quale angolo del suo cuoricino, per sostenere che il centro storico andava alla grande quando la classe dirigente era quella che garbava a lei, Chiarissimo. E pazienza, se nella più incontrovertibile realtà, quella cioè osservabile ad occhio nudo, è stato invece il più oltraggiato dei centri storici, orribilmente abbandonato a se stesso, in un diffuso decadimento anche propriamente strutturale, rimasto sporco più di una discarica per un tempo interminabile e per un tempo interminabile luogo di disfacimento delle persone, soprattutto bambini e anziani, teatro di uno sconcio mercato di prezzolatissimi posti letto per immigrati.
E allora sì, si può, si deve rilanciare. Per decenni si è tenuta la mano in testa al centro storico.
Premeditatamente mantenuto in stato di abbandono per un periodo ultracinquantennale che pesa come 150 anni di impietosa trascuratezza. Evidentemente lo volevano così: pappatoria per guide catalettiche vocate a ricoprire di glassa verbosa un carcassa in avanzato stato di decomposizione. Così l’avrebbe voluto il nostro Insigne, gioiellino trequartista con la casacca del modugnese con l’esclusiva, il quale par che dica: perché mettere piede in quella cloaca quando si può entrare corpo e anima nel favoloso mondo del mio paper, condensato pregevolissimo delle meraviglie culturali locali? E se proprio non resistete alla curiosità di andarlo a vedere dal vivo - par che continui lo Smucinerrimo - bene, allora aspettate un attimo che mi organizzo e vi ci porto io, a veder le mie parole. Mica l’ossario a cui è stato ridotto.
Ah, che cosa non si fa per vendere qualche copierella in più dei propri esercizietti accademici! E poi, di questa intellighenzia sempre schierata dalla parte del peggio che il paese abbia mai sperimentato … beh, se ne ha davvero basta.
“I lavori in corso, come gli altri in atto di rigenerazione urbana, sono stati progettati, programmati e voluti dalla Giunta Gatti” afferma Nennillo. Ci siamo. Vogliamo vedere cosa dice del Centro Storico il Documento Programmatico di Rigenerazione Urbana che nel 2011 quell’amor suo della Giunta Gatti presentò in Regione Puglia e che - com’è noto - nel 2011 NON FU FINANZIATO?
Obiettivo fondamentale del programma dovrà consistere nella realizzazione delle attrezzature pubbliche a servizio del nucleo antico attualmente mancanti, nel recupero edilizio ed urbanistico di alcune sue parti e nel recupero di alcune aree pubbliche ad esso prospicienti. L’obiettivo dovrà essere quello di ripopolare il nucleo antico non solo di residenti ma anche di fruitori a vario titolo dei servizi e degli ambiti di carattere storico ivi collocati [...] Le attività dovranno essere mirate a ridare al nucleo antico il suo originario significato di centralità nella vita cittadina, dato che ad oggi risulta essere marginale, per le sue condizioni di abbandono e per la mancanza di funzioni ad esso associate. [...] Perseguire strategie di intervento finalizzate ad affrontare il problema legato al degrado edilizio e al disagio abitativo che caratterizzano prioritariamente il nucleo antico della città e le aree ad esse immediatamente adiacenti [...] I servizi presenti risultano allo stato insufficienti, al di fuori di “griglie” relazionali, e comportano la dipendenza del contesto dagli altri quartieri urbani, in un rapporto di tipo “passivo”, non sussistendo interscambio funzionale e relazionale con le aree adiacenti. Si riconosce, inoltre, un diffuso degrado di tipo fisico, strutturale, funzionale, ambientale, sociale ed economico.
Quanto alle condizioni conservative e di degrado, il nucleo antico in alcune sue parti, soprattutto nella parte più antica, risulta caratterizzato da un degrado edilizio ed ambientale distribuito “a macchia di leopardo”. In generale esso risulta carente di spazi pubblici attrezzati e di servizi in genere, di parcheggi a servizio della residenza. Si registrano al suo interno alcuni caratteri della marginalità urbana, non sussistendo adeguato interscambio funzionale e relazionale con le aree adiacenti. Ciò sostanzialmente avviene per il diffuso degrado presente di tipo fisico, strutturale, ambientale, sociale ed economico, fattore che risulta essere incompatibile con un’area urbana, come quella del centro storico di Modugno, ricca di contenuti storici ed emergenze architettoniche tanto significative.
La tipologia presente nell’aggregato viene utilizzata in prevalenza ad uso abitativo, ma in forma sottodimensionata rispetto alle potenzialità del contesto. In taluni casi gli alloggi presentano, inoltre, situazioni igienico-sanitarie insufficienti e con un livello di attività abitative tali da generare anomalie e conseguenze sociali del tutto negative. Sono discretamente distribuite attività economiche ai piani terra degli edifici, ma tali destinazioni, unitamente ad una scarsa utilizzazione ad uso residenziale dei piani superiori degli edifici, rendono l’area poco frequentata nelle ore serali e notturne, incrementando il livello di insicurezza locale: nel nucleo antico ci si trova in presenza di un tessuto urbano centrale, ma in un certo senso marginalizzato.
Complessivamente, dall’analisi dell’ambito di intervento e del contesto specifico individuato, si sono osservati: 1. Problemi di degrado urbanistico: il contesto si caratterizza per la insufficienza di aree destinate alla vita pubblica e/o economica. Le aree verdi si presentano spesso in condizioni di abbandono. Le piste ciclabili risultano essere totalmente assenti, i percorsi pedonali non sempre accessibili a tutta la collettività, presentando spesso barriere architettoniche di difficile superamento. Le aree a parcheggio non sono adeguate e dunque ne consegue una scarsa razionalizzazione del traffico urbano. 2. Problemi sociali ed occupazionali: la scarsa propensione alla creazione di nuove opportunità di lavoro produce riflessi negativi sui redditi dei cittadini, con un aumento delle condizioni di povertà e di marginalità della componente giovanile, contribuendo ad aggravare una situazione socio economica locale che risente del carattere di monofunzionalità del contesto. 3. Scarsa appetibilità dell’area per le destinazioni previste dal settore terziario, in mancanza di un razionale sistema delle aree pubbliche, dei percorsi pedonali a discapito delle aree carrabili, di un funzionale sistema di urbanizzazioni primarie ed impianti a rete, di una condizione precaria degli edifici presenti, spesso bisognevoli di interventi di restauro architettonico, soprattutto per quanto concerne le facciate degli edifici sia residenziali che pubblici, ovvero di ristrutturazione edilizia.
Firmato: vecchie glorie del passato
16 Lug 2017 Nicola 1 commento
[prima puntata]
Un fracasso nel cuore della notte. Il precipitarsi di tutti gli spaventi del mondo nei cuori nostri che impazzivano.
Ci fiondammo nella camera dilaniata da un grido prolungato che noialtri non avevamo mai sentito prima a Manuel. La sua vociona s’era squarciata in un pianto urlato disperatamente.
Lungo istanti che sembravano un’eternità non riuscivamo a placarlo, a strapparlo da un sogno che non voleva dissolversi. In preda all’agitazione stavamo tutti a dirgli Manuel, Manuel! Calmati, non è niente, stai buono. Poi di colpo, aprendo gli occhi, smise. Ansimava. Vidi bene nelle contrazioni delle mascelle, nell’imprimersi sul volto di una smorfia di severità, un immediato sforzo di concentrazione per riprendere il suo abituale contegno. Quindi fu lui, in un ribaltamento improvviso, a rincuorarci, invitandoci a sua volta alla calma.
“Non è niente. Eh, non è niente. Un brutto sogno.”
“Mocc’atte, Nino” fece Dario, massiccio di carne scosso dal panico. “I ladri hai sognato?”
La mole fraterna di uno e ottantasei non cessava di tremare come un fringuello. Nino stava già sorridendo per rassicurarlo che non era niente di che. Dal suo letto si era sollevato puntando i palmi delle mani sul materasso. Pensai al significato di quell’accenno di risata. Pensai che Manuel dicesse tra sé “i ladri, magari i ladri …”. Come dire che quell’incubo era stata una faccenda troppo più seria e brutta per essere raccontata al giovane Dario.
“Fai bere un po’ d’acqua a tuo fratello,” disse mamma che seduta sulla sponda del letto scostava un nerissimo ciuffo di capelli dalla fronte sudata di Manuel.
“Andiamo.” Spinsi il fratellone piccolo fuori dalla stanza.
Cosa aveva sognato Manuel quella notte?
Il ritrovamento di papà. Penzolante in una tromba delle scale.
Qualcuno lo aveva scortato sul posto e, aperto il portone, Manuel si era lanciato su per le scale in un’arrampicata furiosa fino a quando non era giunto all’altezza del corpo e lì, sporgendosi pericolosamente oltre il corrimano, aveva abbracciato le cosce di papà. Le spingeva in su. Forsennatamente su su, al punto che si erano dovuti mettere in quattro o cinque per farlo smettere in quest’azione ormai inutile e folle e per staccarlo dal corpo di papà, mentre lui gridava a squarciagola e veniva portato via.
Lo raccontò a mamma il mattino successivo, davanti alla tazza di caffè bollente delle sette meno un quarto mentre finiva di buttare giù due ottimini integrali. Poco prima rima di uscire per la sessione di corsa mattutina.
14 Ago 2016 Nicola 0 commenti
Il malo vento soffia tre volte per le contrade, campestri e urbane, già duramente battute - nel senso proprio dell’essere lavorate a caldo - dalla canicola. Tre onde d’urto terrificanti scuotono abitazioni a svariati chilometri di distanza. Si alza un torcione di fuoco fumo e cenere che in pochi istanti è già un ciclope grigionero che ogni cosa sovrasta e tutti gli uomini atterrisce.
Se non esistesse nella memoria modugnese il 1959, uno penserebbe: “Ecco l’ISIS, prima o poi anche in Italia doveva arrivare. Un attentato proprio a Modugno”.
Invece è il 1959 che ti ancora alla realtà e ti inchioda all’identità. Già perché la Modugno disgregata, sfilacciata, dispersa, con cui spesso in molti si sono trovati a fare affannosi conti, si accende all’improvviso, per ritrovare se stessa e una specie di tragica unità, nel trauma che salda il 2015 al 1959. Un trauma che ti costringe un minimo a ricordare da dove vieni, quali eventi hanno segnato la tua storia, quanta roba in mezzo a queste due date non è servita, e non serve. Quante illusioni e vanaglorie, tese come corde inutilmente coriacee tra due anni zero, ci hanno nel frattempo lesionato nel profondo.
Tanti modugnesi raccontano del 1959. Quando mio padre era veloce.
Con la calura che da un mese a questa parte incrudelisce, perseguita e sfinisce, rimpiccioliscono a vista d’occhio gli indumenti sulla pelle degli uomini. Per ogni giorno in più da passare in questa fornace c’è per strada un uomo in meno che sopporta i pantaloni, una donna in meno il vestitino. Così, calzoni e camicie lasciano spazio a pantaloncini e canotte, le scarpe ai sandali e alle infradito, i calzini al piede nudo e basta. A vederli così, sempre più svestiti, con la poca stoffa rimasta addosso quasi solo per coprire le parti vergognose, questi uomini e queste donne, e i ragazzini già a torso nudo, potrebbero sembrare gli stessi del 1959, nulla di moderno, sempre gli stessi stracci addosso. Perché un’estate feroce, che si svolge in costanza di caldo africano, può piallare le epoche, azzerare il tempo, offrire squarci visivi eternamente uguali. Arcaici. Ancestrale, è questo il termine scomodato e variamente adattato, con cui si scapricciano i media, per la specifica bisogna e per quando vogliono commentare cose oscuramente e tragicamente legate al meridione d’Italia. Meno poetico ma forse più calzante, e anzi più impietosamente esatto, lo Svimez che in questi stessi giorni, col suo rapporto, restituisce un Sud “a rischio di sottosviluppo permanente”.
La collinetta, un’ondulazione lievissima, è la stessa del 1959, quella che sorge su una sponda della lama piccola, in contrada Balsignano. Poco più giù un casale fortificato resiste sin dall’alto medioevo ed è intanto diventato pregevolissimo sito di interesse culturale. Ma sai che per trovare distruzione e morte, oggi come nel 1959, devi percorrere il curvone tracciato nella depressione del terreno, risalire per altri centocinquanta metri e, prima di arrivare al casale, buttarti in mezzo agli ulivi , là dove se ne sta infrattata la stessa fabbrica dei botti che saltò in aria cinquantasei anni fa, stesso disastro, stesso nome in ditta, insomma, ahiloro, ahinoi, stessa famiglia. Più una manciata di operai spazzati via mentre lavoravano per incendiare di fragorose cattedrali di luce i cieli notturni nelle feste di paese.
Così gli “arcaici” si riversano in strada e imboccano la provinciale Modugno-Bitritto immersa nella campagna ribollente. Lo fanno a piedi, di corsa, in bicicletta, sui motorini, in direzione polveriera ‘Bruscella’, incontro ad altri scoppi che, benché minori, alimentano il terrore che non tutto abbia finito di esplodere e, quindi, chissà cos’altro può accadere, quale apocalisse può ancora venire giù.
Dopo il boato, il martellare compatto delle cicale lacerato dai suoni delle sirene dei primi mezzi di soccorso. Ogni tre minuti ne sfreccia uno.
Sbucando dal curvone sei investito da ventate di zolfo e volteggi di cenere. Sei entrato nel nocciolo rovente di un luglio interminabile. Parte ancora qualche razzo che rilascia fontane di colore in mezzo alla nube di fumo. Sei nel cortocircuito di sessant’anni di storia, nel big bang di questo paese, nel nucleo fondante di un orizzonte mitico e luttuoso.
[Quel ragazzino era sempre di corsa, sempre a far mulinare i garretti, per cose che neanche presentavano un motivo per farle così di corsa. Non camminava mai, correva solo. E quella velocità prometteva bene. Già trottava per chissà cosa nella strada polverosa quando arrivò la tremenda rombata che lo dirottò all'istante in direzione della polveriera. Correndo veloce veloce nei suoi braghini, fu tra i primi ad arrivare.
Quel che videro i suoi occhi di pischelletto, corpi carbonizzati tirati via dalle macerie, me lo ha raccontato dopo, quando sono arrivato io ad essere pischelletto e insieme s'andava a correre nelle strade di campagna passando proprio davanti alla fabbrica dei fuochi.
Alcuni suoi amici ricordano ancora oggi di quanto corresse veloce. Uno dei ragazzetti più veloci di Modugno. C'è chi dice di non averlo mai visto camminare, solo correre. E prometteva pure bene.
Ecco, tanti modugnesi raccontano dell'esplosione del 1959 . Mio padre era tra quelli.]
Alla triste conta fanno dieci morti oggi, sette quella volta.
Le notizie:
02 Ago 2015 Nicola 1 commento
Fu così
che misi quella sua giacca blu. per le serate più fresche che vennero dopo l’otto aprile.
per cartucciera il suo borsello a tracolla.
la sua graziella come veicolo tattico leggero.
acquattata nelle mie fondine una forza inimmaginabile.
e scesi nella via. flagello contro tutta la mia pigrizia.
in assenza di gravità, sgovernato per qualcuno, mi ostinai a meritarmi il suo supplizio.
finii il lavoro.
poi infilai le sue ciabatte e me ne stetti un poco in casa. senza troppo riposare però. con tutto un dolore ottuso a ripassarti. a essiccarti.
21 Giu 2015 Nicola 1 commento
Lasciavelo lavorare
Così, nella torpida contrada, il ladro chiese coram populo che si smettesse di parlare dei furti in appartamento. Tutto quel berciare gli impediva di concentrarsi sul futuro programma del su’ lavoro. E ancora una volta nessuno s’allarmò. Nell’idea di città c’era il viver bene tra gli appartamenti a soqquadro.
15 Mar 2015 Nicola 0 commenti
Innalziamo peana all’unico vero prodotto tipico modugnese, un legume “da rilanciare ottenendo certificazioni di prodotto autoctono di qualità”. È ora di valorizzare la produzione locale, rilanciare la filiera corta, riscoprire il kilometro zero. Oscurato da una livida, orrenda parentesi di libertà, vilipeso financo dalla legalità costituzionale, è finalmente giunta l’ora in cui si può riaffermare il supremo valore del CECE IN BOCCA.
06 Mar 2015 Nicola 0 commenti